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Corriere Della Sera

Il manager che fa il vino al ritmo degli astri ... Niente chimica e fiori tra i filari. La scelta della biodinamica nell’eco-fattoria della Maremma ... C’è una vigna arancione e viola in Maremma. E quella di Antonella Manuli, una signora milanese esperta di finanza, convertita alla biodinamica. I Colori dei fiori di calendula, facelia e senape, dopo le ultime piogge, esplodono tra i filari. Come fosse trascorsa un’era geologica dalla livida selva maremmana, “non fronda verde, ma di color fosco”, che Dante trasportò nell’inferno. In questo spicchio di terra tra il torrente Stellata e Saturnia, il vino si fa seguendo le costellazioni. Con la luna in Capricorno ci si occupa di radici, se in Ariete, come sarà la prossima settimana, il momento sarà propizio per le foglie. quindi eventuali potature; e poi ci sono i giorni per gli astri destinati a frutti e fiori. Tutto secondo il calendario ideato da Maria Thun, la tedesca che ha dato corpo, con un calendario astrologico, al credo staineriano. Più che una pratica agricola, la biodinamica è un insieme di filosofia, religione, esoterismo, ambientalismo primordiale, che lo stravagante Rudolf Steiner ideò all’inizio del secolo. Il “credo” biodinamico in Italia viene seguito da poche decine di vignaioli, in bilico tra ecospirito e biochic. Ma in Borgogna, ha scritto Jonathan Nossiter in “Le vie del vino”, “più di metà dei grandi nomi che ho incontrato lavora oggi in biodinamica. Una Concezione radicale della terra come luogo sacro”. E in Australia due milioni di ettari sono coltivati così. Il metodo? Niente chimica, nessun insetticida: ed è anche per questo che tra le vigne di Manuli la colonna sonora è il lavorio continuo e ronzante delle api che fanno slalom con le farfalle. L’unico fertilizzante usato è l’humus messo a macerare in corni di vacca sepolti a fine estate e dissotterrati a Pasqua e poi vaporizzato sul terreno. E l’unico trattamento alle viti è con cristalli di rocca polverizzati, con la tecnica del corno e dello spruzzo nebulizzato. “Creiamo il caos vorticoso in una piccola cisterna e poi liberiamo queste sostanze che danno energia e potenza luminosa alle piante”, spiega con ispirato candore agreste Enrico Bachechi, l’enologo della Fattoria Maliosa. “Questi 130 ettari - racconta Antonella Manuli - li ho trovati nel 2005. La vigna era in stato d’abbandono, i campi incolti, gli edifici ridotti a ruderi. Ho scelto la biodinamica perché da quando ho vissuto in California, mi interessa lo stile di vita ecologico e l’agricoltura che non si occupi solo delle piante ma della vitalità della terra”.
Dopo più di sei anni di analisi genetiche, salvataggi di vitigni tradizionali e cure quasi omeopatiche della terra con i fiori, usati come rotazione delle colture (a volte si cospargono le zolle con decotti di ortica o assenzio), il vino della Maliosa è pronto per affrontare elogi e critiche. Il primo vero test al Vinitaly di marzo, nella debuttante nicchia dei vini naturali. Dai tre ettari di vigna quarantennale e di fresco impianto ecco il Rosso 2010, un mix di Ciliegiolo e Alicante e altri vitigni locali; e il Bianco, soprattutto Procanico (antica varietà di Trebbiano), con l’aggiunta di Ansonica, Grechetto e Malvasia. Entrambi affinati in legno per un anno. Il Rosso ha note dolci, da confetto. Il Bianco? E un orange wine. Colore ambrato-mieloso come un passito, 14 gradi, sapido e tannico, profuma di albicocca, estraneo al gusto da marketing, una diversità che colpisce. “Questo un bianco diverso? Sono gli altri ad essere tutti uguali”, sorride l’enologo.
“Ero allergica al bianchi - racconta Manuli - ad ogni sorso avevo una reazione alle labbra. Questo invece posso berlo. Perché non ha nessun, ingrediente che possa infastidire”. E uno dei punti di forza della biodinamica, l’assenza di additivi, in modo da far esprimere al meglio il frutto della terra. Il punto debole è, talvolta, la tenuta e la costanza nel tempo.
Antonella Manuli, sposata, due figli, laurea in Business administration alla California State University, è arrivata in Toscana alla fine degli anni Novanta, quando la famiglia rilevò le Terme di Saturnia. Nella sua Fattoria, tra i boschi di querce e ginestre percorsi da cinghiali, volpi, istrici e caprioli, ha costruito tre grandi impianti fotovoltaici. La prossima tappa è rimettere in sesto i casali per accogliere i visitatori. Magari salvando la vecchia pianta di Sangiovese che ora fa ombra all’edificio centrale, con quei rami “nodosi e ’nvolti” che sembrano quelli danteschi.

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