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Corriere Della Sera

Ventimila ettari di terra per grandi uve Il regno dei “bianchi” tra mare e colline ... Da Cividale a Faedis, poi a Attimis, poi più a nord, tra le colline, a pochi chilometri dalla Slovenia. Ed ecco Nimis: il borgo custodisce un altro borgo, si chiama Ramandolo e dà il nome al vino che in Friuli-Venezia Giulia ha ottenuto la prima Docg, la denominazione di origine controllata e garantita, la superdoc. li Ramandolo nasce dalle uve appassite di un Verduzzo antico, arrivato dal Medio Oriente prima dei Romai. Ci sono voluti vent’anni per la Docg di questo vino da meditazione, mai sdolcinato, color oro. Fino agli anni 70 si è fatta una gran confusione con Ramandolo prodotto lontano da qui, corrotto dal mosto concentrato. Poi, il successo di piccoli produttori come Giovanni Dri, più forte di terremoti e crisi, ha innalzato le tutele. Ora se ne producono, nell’anfiteatro tra Nimis e Tarcento, 285 mila bottiglie l’anno, I vignaioli che lavorano sotto i monti Bernadia, in salite talvolta impervie, sono 22. Quella di Ramandolo non è l’unica Docg nel Friuli Venezia Giulia: ne esistono altre 3. Sono Colli Orientali del Friuli Picolit (un vino dolce famoso già nel ‘700); Rosazzo (in provincia di Udine, dove si imbottigliano Refosco di Faedis, Pignolo e Ribolla gialla di Rosazzo) e poi Lison (I’ex Tocai, da Pordenone al Veneto). Nella regione, nota nel mondo per la qualità dei bianchi, gli ettari di vigneto sono 20 mila. Un blocco verde da cui esce più di un milione di ettolitri di vino. Si trovano nelle zone Doc e Docg 3 vigne su 4. Si coltiva intensamente dai tempi dei Romani: Aquileia, dal II secolo, venne popolata da 15.000 coloni per ordine di Tito Livio e divento a “cantina” per le città dell’Adriatico e del Danubio.
Dopo a strage delle vigne per colpa di peronospora e filossera, la ripresa è iniziata nei primi anni 60, grazie a una nuova legge sull’impianto di vitigni internazionali, e a cantine di modeste dimensioni che si sono concentrate sul recupero degli autoctoni sopravvissuti alle malattie. Le zone più note (oltre a quella del Ramandolo) sono il Collio, tra mare e Slovenia, in provincia di Gorizia; poi i Colli orientali del Friuli, con al centro Cividale, e le Grave, a cavallo del Tagliamento.
Il vino quotidiano per i friulani è sempre stato il Tocai, più fruttato o speziato secondo l’età. Per l’aperitivo, talvolta a tutto pasto, per il “tajut”, il bicchiere di vino da sorseggiare in piedi al bancone o durante le partite di carte all’osteria.
Lo è ancora, con maggiore moderazione. Ma con un diverso nome: Friulano. Perché l’Ungheria ha reclamato il diritto esclusivo ad usare la denominazione Tokaji. Poco importa se il loro è un uvaggio da dessert. E a nulla sono serviti i documenti storici, come la prova che furono i Formentini di Gorizia ad esportare nel Seicento le piante di Tocai in Ungheria, “300 vitti di Toccai”, la dote di una contessa da maritare con un nobile ungherese. Ad affiancare il vecchio neonato Friulano, restano altri grandi autoctoni: il Refosco dal Peduncolo rosso, lo Schioppettino, la Malvasia strana e la Ribolla gialla.

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