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Corriere Della Sera

Quel Cavaliere del Brunello ... Si è dimesso dal vertice del Consorzio. E l’uomo che chiese di bruciare le vecchie botti ... Lascia l’enologo Rivella e vostre botti sono vecchie, antiche. Bruciatele tutte se non volete che nel vostro Brunello ci sia robaccia”. I produttori di Montalcino volevano inseguire con i bastoni l’astigiano Ezio Rivella quando, incontrandoli per la prima volta, li provocò su quanto avevano di più caro in cantina. Fine degli anni Settanta, l’era nera del Brunello. Rivella aveva le tasche piene di dollari, precise idee di marketing, una flotta di elicotteri, l’idea di costruire un finto castello (poi ne acquistò uno vero). Tra i toscani abituati a lenti cambiamenti secolari alcuni erano pronti a scrivere sulle antiche mura: “Yankee go home” contro Castello Banfi “d’azienda ideale” creata da Rivella e finanziata dalla famiglia italo-statunitense di John Mariani. Da allora è cambiato tutto, al culmine di una carriera di enologo che non ha paragoni in Italia, Ezio Rivella due anni fa è diventato il presidente del Consorzio del Brunello. Ma ora il Cavaliere lascia. Ha già consegnato la lettera di dimissioni. La fine di un’epoca per Montalcino. Rivella tira il fiato e cita Dante: “Di mia età, dove ciascun dovrebbe calar le vele, e raccoglier le sarte”. Il Consorzio discuterà giovedì il suo addio alla presidenza con un anno di anticipo (lui resterà in consiglio). “Non ho più l’età - spiega - fra poco diventerò ottantenne, voglio dedicarmi di più alla mia azienda piemontese Bel Sit, Barbera e Moscato d’Asti, un ritorno alle origini. E poi a Roma c’è da seguire il mio studio di progettazione di cantine, dal 1962 ne abbiamo aperte 550”. C’è anche un motivo che con l’anagrafe non ha nulla a che fare: il Consorzio cerca nuovi equilibri tra grandi e piccoli produttori. Rivella è stato l’emblema di Banfi, il super big. La sua uscita di scena può aiutare a trovare, fra un anno, un presidente che unisca le due anime. “Qui c’è lo spirito del Palio - dice Rivella -. Ma non si litiga più sul disciplinare, la questione su Brunello e Rosso in purezza o no è stata chiusa con un voto segreto”. “Ero stato chiamato alla presidenza - racconta in un momento difficile. Si erano sentiti gli effetti di una inchiesta sul Brunello non in purezza, poi finita nel nulla. I prezzi erano calati. Ora quel periodo è alle spalle, le vendite non sono mai state in flessione, ci avviciniamo ai 1o milioni di bottiglie vendute all’anno”. Nell’era del suo sbarco in Toscana, il mercato era molto diverso: 300 mila bottiglie. E dove c’è ora Castello Banfi, ha scritto Rivella nel suo libro “do e Brunello” (Baldini Castoldi Dalai) la zona era “desolata, quattro case e una stazioncina ferroviaria con più treni che passeggeri, terreni incolti e nemmeno l’ombra degli agriturismi che si vedono ora”. Che era accaduto? Eppure nel Seicento, come ha ricostruito Stefano Cinelli Colombini, discendente della casata della Fattoria dei Barbi, il vino di Montalcino veniva servito ai Reali d’Inghilterra, due secoli dopo raccoglieva premi in tutta Europa. Era il motore del mondo per il futurista Filippo Tommaso Marinetti che nel 1993 scrisse: “dl Brunello è benzina”. Ma la fine della mezzadria e nel 1964 l’apertura dell’Auto sole (la Francigena che passa da Montalcino si svuotò) decimarono i vignaioli. Rivella diventò un enologo noto dopo aver scovato il sistema di rendere limpido il bianco della Cantina di Marino vendendolo in tutta Italia con il tappo a vite. Poi arricchì i Mariani inventando un Lambrusco prodotto dalle Cantine Riunite emiliane per gli Stati Uniti, leggerissimo (7 gradi) e frizzante: 25 milioni di casse l’anno esportate. Con i soldi spremuti dal Lambrusco, Rivella comprò per i Mariani a Montalcino, “a prezzi irrisori”, 2.830 ettari, di cui 85o a Sangiovese e Moscadello, e il castello medievale di Giovanni Mastropaolo. Nel 1984 Castello Banfi aprì con una festa hollywoodiana, elicotteri e migliaia di palloncini colorati a formare grappoli d’uva in cielo. L’idea vincente di Rivella è stata quella di pensare in grande: allestì un cantina in grado di produrre allora il doppio delle bottiglie di tutti gli altri vignaioli messi assieme, arrivando in pochi anni, dopo il successo mondiale del Brunello nel 1995, a un milione di bottiglie. “Un’iniezione di forza e investimenti che ha giovato a tutti”. “Ci fu ostilità all’inizio - ricorda Rivella - ci chiedevano se davvero facevamo il Brunello dolce per gli americani e per i supermercati e se i soldi arrivavano dalla mafia. Un’invidia fastidiosa perché è vero che Biondi Santi ha inventato il Brunello, ma siamo stati noi a lanciarlo nel mondo”.

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