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Corriere Della Sera

L’anti moda del “Vino libero” ... Il patron cli Eataly fonda un movimento “Tre milioni cli bottiglie senza chimica” ... “Come il sesso, il vino è stato avvolto fin troppo spesso in un’aurea di mistero, imprigionato nel tabù, offuscato da ciance tecniche e aggredito dai puritani anche se il suo godimento è, o dovrebbe essere, semplice, accessibile e divertente”. Chi lo dice? Jay Mclnerney, l’edonista autore delle “Mille lucidi New York” nel suo ultimo libro, “I piaceri della cantina” (Bompiani). Deve averlo letto anche Oscar Farinetti. E anche se non l’ha fatto è comunque in completa sintonia con questa idea del vino senza orpelli. L’inventore di Eataly, che con il suo mega negozio ha cambiato il modo di fare la spesa di migliaia di torinesi, romani, newyorchesi (e presto anche milanesi), ha fondato un movimento con un solo Comandamento: vendere vino onesto lontano dalle mode. L’iniziativa si chiama “Vino libero” e verrà presentata lunedì nel nuovo store all’Ostiense. Undici cantine (“che presto diventeranno 50”, prevede Farinetti) in sette Regioni. Si parte da un milione di bottiglie con l’obiettivo di triplicare. L’idea è “creare una rete tra produttori, fornitori e consumatori basata su 400 enoteche e 600 ristoranti”. “Vino libero” sembra uno slogan riemerso da atmosfere post sessantottine, un frutto di quella parte non violenta della protesta di 35 anni fa, quasi “d’elaborazione dell’eredità libertaria e antisistema”, dell’epoca in cui si pensava al “corpo come diritto e soddisfazione” (Lucia Annunziata, 1997, Einaudi). Ma l’approccio di Farinetti è post-ideologico. “Abbiamo scelto questo nome perché è facile da capire, è italiano, e indica bene quello che vogliamo: liberare il vino dalla burocrazia, dalle pastoie fisiche e metafisiche. In Italia i dieci enti che si occupano dei controlli sul vino, in Francia due, è tutto più complicato da noi, dalle visite della Forestale a quelle dei Nas”. E da cos’altro vuole liberare il vino? “Dal rito degli abbinamenti, perché ognuno deve bere quello che gli piace mangiando quello che gli va. Poi dall’altro rito, quello delle analisi sensoriali che non fanno capire niente”. L’idea è di un gamma di qualche decina divini soprattutto da vitigni autoctoni, dal Piemonte alla Sicilia, con una fascia di prezzo dai 5 ai 35 euro, “perché quelli più cari mi sembrano esagerati”. L’associazione-movimento si è data solo tre regole: niente concimi chimici, niente diserbanti, riduzione di almeno il 40 per cento della dose solfiti consentita dalla legge. Vino biologico quindi? “No, la parola biologico non ci piace, sa di medicina - precisa Farinetti -, noi vogliamo avvicinare la gente a un concetto divino pulito e buono, continueremo con altre regole, per esempio per l’eliminazione dei lieviti non naturali. E un progetto che andrà avanti per decine di anni, evolverà”. Per ora partecipano a “Vino libero” le cantine Fontanafredda (quella di Farinetti), Miraflore, Borgogno, Brandini, San Romano, Monterossa, Seraflni & Vidotto, Le Vigne di Zainò, FuMa Tombolini, Agricola del Sole, Calatrasi & Miccichè: 180 ettari di vigne, 350 addetti. Ci sarà un portale per le vendite online, enologi, agronomi e negozianti potranno scambiarsi informazioni. “Porteremo le bottiglie anche fuori dai luoghi tradizionali - annuncia Farinetti - per esempio nelle librerie”. Entro marzo la rete sarà completata. “Quando i tempi sono duri conviene unirsi intorno a un progetto condiviso”, è lo slogan scelto per l’iniziativa. L’auspicio: “Vorremmo più semplicità, più rispetto della storia e delle tradizioni”. Sembra la trasposizione imprenditoriale del pensiero del filosofo francese Serge Latouche, per il quale la chiave della felicità è “l’abbondanza frugale”, perché bisogna uscire dal “circolo infernale della creazione di bisogni e prodotti”. All’idea del vino smitizzato, fatto scendere dal trono e riportato alle origini, Farinetti aggiunge la visione pratica di chi deve far tornare i conti “com’è inevitabile con la responsabilità che abbiamo verso i 2.300 collaboratori delle nostre aziende”. E il cuore da “figlio di comandante partigiano” che si sta dando un gran da fare per riuscire ad inaugurare il prossimo store Eataly a Milano “nella data simbolica che più mi sta cara, il 25 aprile”.

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