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Corriere Della Sera

Nel “covo” dei talebani del Barolo ... Mascarello: “Lavoriamo da decenni per ottenere un’uva perfetta sotto ogni punto di vista. Il vantaggio della vinificazione classica è che la frutta non è cammuffata da note di legno ... È una di quelle squadre che lavorano in vigna con lo spirito di cent’anni fa. Raramente si fanno vedere alle fiere per decantare i loro vini. Il telefono cellulare è gestito con fastidio, alcuni preferiscono l’email, assurdo ma vero, perché le parole devono essere misurate, come il barolo che producono. Mauro Mascarello è uno di questi. Con il suo Monprivato Ca’d’Morissio riesce a dimostrare quanto grande può essere questo rosso di Langa senza condannare la modernità. Tradizionalisti del barolo, produttori di un vino che può durare oltre vent’anni con le caratteristiche più spettacolari che il vitigno nebbiolo, dal quale è prodotto, sa esaltare. Un vanto per credibilità. L’eccentricità è lasciata alla porta o forse questi vini sono così eccentrici per profumi fini, eleganti, intensi. In una parola: unici. Le vendemmie sui crinali di Langa fatte a mano all’ultimo momento, ai limiti, a volte, della surmaturazione. Con le prime nebbioline che rendono tutto ovattato, in silenzi millenari, in terreni asciugati dal sole dove un tempo c’era il mare. Dichiarazioni sorprendenti: “Da decenni la nostra famiglia lavora per ottenere uva perfetta sotto ogni punto di vista”, dicono Mauro Mascarello e suo figlio Giuseppe che porta lo stesso nome del fondatore. E dal 1881 di tempo ne è passato. Una famiglia che aveva sempre lavorato sotto padrone quando il padrone era la marchesa Giulia Falletti Colbert. Oggi Castiglione Falletto, dove c’è la vigna “nuova” con i doni antichi di Michet, varietale del nebbiolo, sembra l’astronave dei sogni e Ca’d’Morissio, “la cascina di Maurizio, mio nonno”, precisa Mauro, un autentico scrigno per chi non crede alle favole. Mauro l’ha reimpiantata nel 1988 con selezione di vecchi doni come detto. Un passo anticipatore forzato per chi ha sempre pensato al vino come un facile gioco dell’agricoltura. Una grande visione per chi oggi invece vive ancora di terra. Potature severe in inverno e diradamenti primaverili ed estivi in modo da far respirare terreni bianchi, calcareo limosi. Almeno nella spiritualità di questi vignaioli. Una ricerca da certosini, perché accanto al Michet si affiancano altre varietà, Lampia e Rosè, che sono tornate a vivere in un bicchiere di vino. “Il vantaggio della vinificazione tradizionale è che non si hanno profumi di vaniglia e cioccolato e la frutta non è camuffata da note di legno”, spiega serissimo Mauro. Ma la frecciata è da buon intenditore, diretta alle nuove generazioni frettolose nell’impiego di barrique e altri accorgimenti. A chi fa il vino “nelle schede”. Le uve del Monprivato, ima lunga costa di sei ettari esposta a Sud-ovest, dopo la macerazione, finiscono per l’elevazione in botti di rovere di Slavonia, non nuove, con una capacità che oscilla dai 20 ai 90 ettolitri, Fu proprio l’avo Maurizio ad acquistare nel 1904 quella vigna, un cm che identifica la famiglia. In queste ore Mauro Mascarello vive la sua sessantacinquesima vendemmia è assicura che le palpitazioni del suo cuore sono sempre alte e costanti negli anni. Il momento più significativo della stagione, il raccolto. E l’anfiteatro di Langa si anima di voci e mani che tagliano con rigore grappoli d’uva tra i filari. Una liturgia che il vignaiolo Elio Grasso definisce “eccentrica e irrinunciabile”. “Con questo tarlo si nasce”, aggiunge il produttore di Monforte d’Alba. Una squadra griffata che si avvale del lavoro di contadini illuminati e delle loro indimenticabili etichette: la Riserva Monfortino di Giacomo Conterno, Rocche del Falletto di Bruno Giacosa, Gavarini Vigna Chiniera di Elio Grasso, Bricco Boschis di Cavallotto, Riserva Vigna Bionda di Massolino. Messe tutte in fila nell’ultimo gioco-classifica dei 50 Best italian wine awards appena pubblicato. Un elenco che può soltanto numerare una felice sequenza di vini di carattere e personalità. Cinque baroli nei primi diciotto, due nei primi quattro. Onore al vincitore, anche se è un bianco, il Trebbiano di Valentini. Non c’è un barolo sul podio più alto. Troppo scontato.


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