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Corriere Della Sera

“Troppi misteri sul sabotaggio Brunello, via dal Consorzio” ... Soldera contro tutti: non si difende così un vino ... Gianfranco Soldera lo chiama “il fatto”. Un sabotaggio che ha cambiato la sua vita, la sua azienda, i suoi rapporti. Sono passati 4 mesi da quando un ex dipendente distrusse, sversandoli nelle fogne, più di 600 ettolitri di Brunello di Case Basse, 5 annate (2007-2012). La sentenza è arrivata: 4 anni di condanna. All’indomani Soldera ha annunciato le sue dimissioni dal Consorzio del Brunello. Il suo è un atto d’accusa destinato ad alimentare la guerra del vino di Montalcino che ha raggiunto il massimo grado 5 anni fa quando la Finanza scoprì che qualcuno, violando le regole, aggiungeva Merlot al Sangiovese per “ammorbire” il vino. Ora Soldera accusa i produttori che sfornano Brunello “come se moltiplicassero pani e pesci” evitando “gli studi che garantiscono il consumatore”. Accusa il Consorzio di avergli “proposto una truffa, offrendo vino altrui da imbottigliare come mio”. Dopo il sabotaggio, Soldera (76 anni, ex broker trevigiano, definito il purista del Brunello) parlò di un azione in odor di mafia. Poi sfumò: oggi ritiene che il movente sia ancora oscuro. E annuncia che è riuscito a salvare circa 7.000 bottiglie per ogni annata colpita.

Perché ha rotto con il Consorzio del Brunello?

“Da tanti anni non c’è feeling con chi comanda e ha una linea diversa dalla mia: io sono per il Brunello con il Sangiovese al 100%, sono per l’aumento dei controlli e delle ricerche”.

Quali ricerche e perché sono importanti?

“Quelle che ho presentato a Montecitorio nei giorni scorsi, ricevendo anche una bellissima lettera di Napolitano. Vado avanti grazie agli aiuti degli americani del Ttb (Alcohol and Tobacco Tax Trade Bureau): il telerilevamento con i droni, gli studi sul Dna e sull’indice di vigoria delle singole vigne per ottenere un vino più garantito per chi lo beve. Ho consegnato il Premio Soldera ai ricercatori che si occupano di questo ma mi sarebbe piaciuto che anche il Consorzio partecipasse, come proposi nel 2005 con Franco Biondi Santi (il grande vecchio del Brunello, ndr)”.

Il Consorzio le ha dato solidarietà dopo il sabotaggio.

“Volevano donarmi vino: avrei dovuto imbottigliarlo come mio, non sapendo da dove venisse. Proposta era irricevibile e offensiva, una truffa al consumatore. Finanziate gli studi a Montalcino, ho chiesto. Ma non se n’è fatto nulla”.

Quali sono stati gli altri punti di frattura?

“Per tantissimi anni le mie proposte sono state bocciate. Quando è scoppiata Brunellopoli ho chiesto che tutti i coinvolti facessero un passo indietro. C’erano il presidente, il direttore e altri. Ho avuto 3 voti a favore, 120 contro”.

Brunellopoli appare sempre sullo sfondo.

“Ha portato al sequestro di 10 milioni di bottiglie e al patteggiamento di 17 condanne. Montalcino può dare molto, ma bisogna lavorare meglio, come impone anche la crisi. Le truffe forse avvengono anche in altre parti del mondo, ma qui erano così tranquilli che le facevano spudoratamente”.
Quanto ha pesato il sabotaggio sulla decisione di rompere?

“Sarei uscito lo stesso anche se non fosse successo. Ma mi ha fatto molto riflettere. A fine marzo venderò di nuovo il mio Brunello, prima di ricominciare ho comunicato la rottura”.

Quante bottiglie ha salvato?

“Tra il vino che era nelle vasche inox e quello già in bottiglia riuscirò a vendere una media di 7.000 bottiglie nei prossimi 5 anni. Negli ultimi 30 anni ho venduto una media di 15 mila bottiglie l’anno. Anche quando tutta Montalcino ne vendeva 700 mila. Ora puntano ai 10 milioni. Non credo alla moltiplicazione del pane e dei pesci. Non c’è il terreno, non c’è manodopera valida. Sono per il vino senza bisogno di additivi o conservanti. Il produttore deve usare solo le sue uve altrimenti come fa a sapere cosa c’è in un acino?”.

Qualche collega l’ha chiamata dopo lo strappo?

“Non c’è bisogno di parlare, lo sanno bene perché sono uscito dal Consorzio e forse sono contenti. Parlo con poche persone, ma anche perché manca comunità di intenti”.

Che pensa della sentenza?

“È stata riconosciuta la tesi del pm Nicolini, sono soddisfatto. Resta da capire il movente. Avevo rimproverato quell’operaio che pulendo i tini aveva sversato acqua sulle querce, danneggiandole. Lui se n’era andato. È strano però che siano trascorsi tre mesi da quel rimprovero alla vendetta. Non è stato un impeto di rabbia. I dubbi restano. Non spetta a me fare indagini, ma da profano direi che un rimprovero non può provocare una reazione così a distanza”.

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