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Corriere Della Sera

Quella vigna sull’isola. Storie di etichette strappate al mare ... Dall’Elba a Salma, il gruppo nato da un libro ... Tutto è cominciato da un libro, “Il vino e il mare”, di Andrea Gabbrielli (Iacobelli editore). Un viaggio dalla Laguna veneta a Pantelleria, cercando vigne antiche e nuove cantine. La guida ha preso vita, ha generato un’associazione di vignaioli: si chiama “I vini delle piccole isole”. Un gruppo di 13 aziende, quasi tutte con pochi ettari di terreno sottratto alle rocce sul mare e difeso con fatica sui pendii grazie ai muretti a secco. Dalle isole minori arriva un vino a volte raro. O difficile. “Un vino di una sola uva, dava silenzio in bocca, faceva guardare lontano”, come scrive Erri De Luca di un rosso ischitano. Tra i 13 isolani ci sono piccole grandi storie di terra difesa con le unghie. Come ha fatto la famiglia Teofili che a Capraia ha portato i filari nell’area abbandonata della colonia penale (ora nei 3 ettari dell’azienda La Piana si produce il caldo Cristino, Aleatico in purezza, dolce con misura). Emanuele Vittorio, a Ponza, con le Antiche Cantine Migliaccio, ha fatto resuscitare le piante di vite di 250 anni soffocate dagli sterpi (anche il suo Piano Vigne Vecchie, allo stesso modo di altri isolani, ha un gusto sapido, quasi marino). Poi ci sono Simone e Giovanni Rossi, i fratelli che con un mulo lavorano su un fazzoletto argilloso che sembra precipitare nel Tirreno, all’isola del Giglio: la località dà il nome alla giovane azienda, Fontuccia, i vini con nomi ironici sono un Ansonica in purezza, il Senti Oh, e un passito, il Nantropo’. Alcune cantine dell’associazione presente al Vinitaly di Verona sono sbarcate da isole importanti per il turismo, come l’Elba. “Ero uno studente milanese di Scienze politiche - racconta Lorenzo Signorini -,dopo uno stage in Sudafrica venni travolto dalla passione per questo mondo. E iniziai a lavorare nell’azienda Cecilia, fondata da mio zio”. Giuseppe Camerini, lo zio, un ingegnere che ha trasferito la sua passione per la matematica nelle etichette in cui compare un frattale, si è fatto presto da parte per lasciare spazio al nipote. Dai 10 ettari di Cecilia nasce un’interessante Ansonica (la stessa uva che in Sicilia prende il nome di Inzoha). “Il libro di Gabrielli - ricostruisce Signorini - ci ha convinti a metterci insieme”. Da Milano viene anche Marcello Fioretti: “Facevo il viticoltore a San Colombano al Lambro, una trentina d’anni fa sono arrivato all’Elba, alla fattoria settecentesca dell’Acquabona, 16 ettari. Anche per noi il vitigno principale è l’Ansonica. il nostro merito? Proteggere il territorio”. La terza azienda dell’isola è La Fazenda, nata sulle ceneri di una tenuta che era stata chiusa nel nome del successo turistico degli anni 70: il vino-bandiera è un Aleatico passito che sembra pieno cli sole. Infine, sempre all’Elba, la Tenuta delle Ripalte di Pier Mario Meletti Cavallari, che dopo 30 anni a Grattamacco si sta divertendo con la sorte, come recita il motto (“Alea ludendo”) nelle sue etichette di Aleatico. Molto più a sud, a Pantelleria, le sorelle Caterina e Sara seguono i dettami del nonno: tanta fatica e poche bottiglie. il risultato che esce dal dammuso trasformato in cantina è un passito da uve Zibibbo, il morbido Cimiilya. Dolce è anche il Quae, a base di Moscato di Calasetta: viene da Carloforte, nell’isola sarda di San Pietro. L’azienda di chiama U Tabarka ed eyoca il viaggio dei liguri che nel 1738 arrivarono qui da Tabarka, una ex isola tunisina dove la pesca di Corallo non rendeva più. La più famosa tra le 13 isolane è la cantina fondata a Salma negli 6o dall’artista bresciano Carlo Hauner: il figlio continua a raccogliere i frutti della grande intuizione del padre, che rilanciò la Malvasia delle Lipari. Sono tre le aziende da Ischia nell’associazione dei vignaioli del mare: Cenatiempo, D’Ambra, Tommasone. Tutte producono l’autoctono Biancolella. Casa D’Ambra, con la sua etichetta a scudetto suggerita dal regista Luchino Visconti, è impegnata anche in una banca genetica che sta facendo rinascere Guarnaccia, Coda di Cavallo e altri vitigni scomparsi. Come quello descritto da Erri De Luca in un’osteria sul Monte Epomeo: “Un rosso cupo e denso, controluce il bicchiere dava uno spettro viola: era il Per’e Palummo, il piede di piccione, nome dato a un vitigno dei tornanti, impianto sopra i terrazzamenti di Forio. Era vino di una sola uva, dava silenzio in bocca, faceva guardare lontano”.

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