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Corriere Della Sera

Alessia e il Fiorano: così è rinato il vino del principe ... Alberico Boncompagni Lodovisi era il principe sul trattore. Con la sua giacca di tweed e un cappello di paglia arava da solo la terra. In una zona priva di grandi vini, a pochi passi dall’aeroporto di Ciampino, alle porte di Roma, creò il Fiorano. Rosso: un elegante taglio bordolese. Bianco: con Malvasia di Candia, affinato in botti da mille litri. E il Sémillon: sbalorditivo. Poche bottiglie, altissima qualità. Ora le nipoti, Alessia, Allegra e Albiera Antinori, figlie del marchese toscano Piero, hanno riaperto l’azienda che era stata abbandonata. Il vino non è ancora pronto (a differenza di quello del “lontano parente” AlessandroJacopo che ha ereditato una parte delle tenuta). Le sorelle hanno aperto da poco un ristorante in cui i clienti scelgono le verdure dall’orto e le portano alla chef siciliana Sarah Bugiada. Nei fine settimana il casale restaurato, con la cantina ricavata nelle vecchie stalle, ospita laboratori didattici per i bambini. Ci sono un caseificio per i formaggi di pecora e capra, un forno per il pane con il lievito madre lasciato dal nonno. Si producono miele e olio. E presto arriveranno le mucche per il latte. “Venivamo qui da bambine - racconta Alessia Antinori - è un angolo di paradiso tra l’Appia antica e l’Ardeatina, con cavalli e pecore nel bosco. Il nonno ci portava da Firenze con la sua Renault 4. Grande carisma, burbero, introverso”. Aveva due Papi tra gli avi e una famiglia che da un migliaio di anni si occupa di terre. Veronelli scoprì la tenuta negli anni Sessanta. Il proprietario imbottigliava il vino, ma non lo vendeva. Nel giorno del primo incontro, casuale, il principe era sul suo cavallo nero. Vide Veronelli e gli puntò contro una pistola. Non voleva intrusi. Diventarono amici, il critico lo convinse a far uscire i vini dalla cantina. Paragonò il Sémillon al Sassicaia. Scrisse: ”Se abitassi a Roma implorerei ogni giorno alla porta del principe per averli”. Boncompagni Ludovisi aveva un modo singolare di vendere. “I clienti venivano chiusi a chiave in una stanza per impedire di guardare troppo in giro. Dovevamo pagare la somma precisa in contanti, perché lui non dava resto”. Il principe subì una rapina nella villa. Restò per ore legato e imbavagliato. Qualche tempo dopo si ammalò di sclerosi multipla e nel 1990 traslocò in albergo. “In quel periodo - ricorda Alessia - passavamo ore assieme, studiavo da enologa e lui mi dava consigli”. Il Fiorano cessò di essere prodotto dal 1995. Veronelli salvò una parte delle vecchie bottiglie e le fece vendere negli Stati Uniti. Nel 2005 il fondatore di Fiorano morì. Quattro anni dopo sono arrivate le nipoti e lentamente hanno rimesso in sesto i 120 ettari di terra e i vigneti, coltivati in regime biologico dal Dopoguerra. Spiega Alessia: “Abbiamo trovato otto filari storici. Il resto era stato estirpato dal nonno. Le viti rimaste erano semisepolte. Le abbiamo salvate e propagate per 14 ettari: Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Malvasia di Candia e Sémillon. La prima vendemmia nel 2010 per alcuni vitigni, per altri è in corso ora. Il vino, anche grazie ai consigli dell’enologo Renzo Cotarella, sarà sul mercato l’anno prossimo. Seicento bottiglie, che diventeranno 10 mila”. Così rinasce un pezzo della storia agricola d’Italia, resuscitando vini che, come scrisse Veronelli, “ti incantano al primo assaggio, scavano un solco nella memoria e ti migliorano per sempre”.

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