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Corriere Della Sera

Venezia, le viti sono tornate ... Un nuovo vigneto a Torcello e un altro a Mazzorbo: la storia (antica) di “Venissa”... C’è una Venezia che si sente come Antonio, il mercante di Shakespeare: “Veramente non so perché sono così triste”, ripete ogni giorno. Una città melanconica che prima mandava bastimenti in tutti i mari e ora s’indigna scambiando per invasore un attore hollywoodiano con la sua flotta di paparazzi. Oltre Venezia, come nel Cinquecento, c’è Belmonte, l’isola sognata dallo scrittore, regno della bellezza. O meglio, ci sono più Belmonte, isole nella laguna. Il loro tesoro non è nascosto in tre scrigni come nella commedia cinquecentesca, ma ha radici tra la terra e l’acqua. Nella Venezia Nativa, la prima ad essere abitata dopo la fuga da Altino conquistata dai barbari nel 639, si torna a coltivare la vite. Un nuovo vigneto è nato a Torcello, un altro a affianca quello già esistente a Mazzorbo. Al riparo delle mura del convento di Santa Lucia, i Carmelitani scalzi hanno fiutato il vento nuovo, riportando in vita un antico vigneto. Arrivano nuove energie. Come quelle di Matteo Bisol, 27 anni, dalla Valdobbiadene del Super Prosecco, laurea in Economia a Ca’ Foscari e master in consulenza strategica. Con la moglie Veronica, interior designer, si è trasferito a Mazzorbo per occuparsi a tempo pieno di vino, poco meno di un ettaro di Dorona, antico vitigno, 80 piante ritrovate e salvate nel 2002. 11 padre, Gianiuca Bisol, le aveva piantate nel 2006. Quattro anni dopo è uscito il primo vino, Venissa, nome ispirato a un verso del poeta Andrea Zanzotto. “Vivo e lavoro qui - racconta Matteo - il mio mondo è un ex convento, con una vigna murata e il campanile in mezzo, una terra incredibile, ricca di minerali e percorsa da acqua salmastra. Abbiamo aperto un ristorante e alcune suite. Sono rimasti gli orti di cui si occupano gli anziani di Burano”. L’operazione Venissa in questi giorni è raddoppiata. In un’isola che appartiene ad una ricca famiglia di industriali è stato trovato un vigneto di 40 anni, Merlot e Carmenere. Laguna Nord, dove volano degli aironi cenerini e delle garzette, tra le valli da pesca degli Stefanel e degli Swarovski. Filari che si devono alla costanza dei monaci armeni dell’ordine dei mekhitaristi con base all’isola di San Lazzaro. Nasce così, con gli enologi Desiderio Bisol e Roberto Cipresso, Rosso Venissa, l’annata sul mercato è la 20fl. “Abbiamo prodotto circa 5.000 bottiglie - racconta Matteo - al posto dell’etichetta c’è una foglia di rame ideata dal signore del vetro Giovanni Mo- retti. Per 11 primo Venissa, con la Dorona, invece l’etichetta è d’oro, recuperando l’antica tradizione dell’uso di questo metallo: molto tempo prima del risotto di Gualtiero Marchesi, l’oro compariva sui piatti della Serenissima, al punto che il doge fu costretto ad intervenire vietandone l’uso smodato e talvolta intossicante”. Le bottiglie costano dai io ai 140 euro. Tutto, nella Venezia Nativa del vino, è cominciato con Piavio Franceschet e Mauro Lorenzon, animatori dell’associazione “La Laguna nel bicchiere”, che hanno ritrovato pergole di uve perdute in giardini e luoghi sacri. Poi è arrivato nell’isola di Sant’Erasmo l’imprenditore televisivo francese Michel Thoulouze, l’inventore di Tele+ e di decine di altri emittenti in tutto il mondo. Produce l’Orto, uvaggio di Malvasia istrana, Vermentino e Fiano d’Avellino. Nella stessa isola sta per sbarcare un vignaiolo della Borgogna.E poi c’è la grande ricerca svolta dalle università di Padova e di Milano (grazie al professor Attilio Scienza), con il Consorzio Vini Venezia ed 11 Centro per la Viticoltura di Conegliano. E stata redattala mappa genetica dei piccoli vitigni in ti zone della laguna. Sono state trovate Albana, Dorona, Garganega, Glera, Malvasia istriana, Moscato giallo, Tocai friulano, Trebbiano toscano e romagnolo, Verdazzo trevigiano e Vermentino; e tra i rossi Marzemino, Merlot e Raboso veronese. “Per salvare questa biodiversità - spiega Carlo Favero, direttore del Consorzio - stiamo realizzando due vigneti sperimentali che raccoglieranno le viti recuperate ed alcune varietà storiche. I1 primo, a Torcello, è già completato, il secondo sarà pronto nei prossimi mesi”. Sorgerà nel convento dei Carmelitani scalzi, sul Canal Grande, dove è sepolto l’ultimo doge, Lodovico Manin. Sul tema oggi viene presentato il libro “I1 vino nella storia di Venezia - Vigne, cantine e mescite di vino nelle terre dei Dogi tra il XIII e XXI secolo”, di Manna Crespan, Gabriella De Lorenzis, Carlo Favero, Serena Imazio, Daniele Migliaro, Jacopo Nardi, Andrea Pitacco e Attilio Scienza. “Venezia ha un’antica tradizione di commercio del vino - scrivono gli autori - ma non di produzione viticolo-enologica locale. La Serenissima aveva scelto di non avere un retroterra e di proiettare i propri interessi sul mare, secondo il motto “coltivar el mar e lassar star la tera”. Tuttavia le viti sono presenti e vengono ancora ricavate piccole quantità divino per uso familiare o per le funzioni religiose.” Così ora le viti rinate possono diventare l’antidoto alla mestizia della città, sulla scia delle parole di Graziano ad Antonio nel “Mercante di Venezia”: “Le rughe della vecchiaia mi vengano per l’allegria e le risate, il fegato mi si riscaldi con il vino che il cuore mi si raffreddi mortificati dai lamenti!”.

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