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Corriere Della Sera

Un grande Moscato dalla mini Doc ... Metti una sera a cena con Gualtiero Marchesi. Al ristorante Daniel, a Milano, con i vini solari di Valle dell’Acate (Grillo Zagra e Frappato) che cercano di farsi largo tra le salse peruviane di Gaston Acurio. Strette di mano, inchini, selfie: c’è la fila per omaggiare il cuoco che tutti chiamano, alzandosi in piedi, Maestro.

Ha 85 anni, Marchesi, la stessa mente sveglia e il lampo da monello negli occhi di quando aprì il suo ristorante in via Bonvesin de la Riva, negli anni ruggenti di Milano. Lascia il tavolo ufficiale e parla di se stesso come di un ex timido un tempo chiuso in cucina, che ora non si sottrae più. Si sente un compositore, nel senso musicale, creatore di armonie nei piatti. Non beve, ma inspira i profumi terragni del Moro, un Nero d’Avola da uve ultramature.
“Sono stato il primo a creare qui una carta importante dei vini, nel 1960”, dice, ribattendo a chi lo vuole poco attento agli accostamenti cibo-vino. Poi distribuisce pillole di saggezza non solo enogastronomica: “Cerco la purezza degli elementi, l’esaltazione della materia. Ci vogliono idee e cuore. Con il cuore anche piatti impossibili come un risotto con funghi e salame, assaggiato pochi giorni fa in una trattoria, diventano buoni”.
Mentre Marchesi parla, tra sorrisi e giudizi taglienti, viene da pensare a quale potrebbe essere il vino generato da una idea e sorretto dal cuore, onesto e sorprendente come un piatto che arriva dalla cucina di una trattoria. Uno è il Moscato Passito di Loazzolo, la Doc più piccola d’Italia, 6 ettari di vigneti e una decina di produttori. La settimana scorsa questo Moscato dell’alta Langa astigiana ha festeggiato il trentesimo compleanno, con una serie di degustazioni e di incontri nel paesino di 400 abitanti.
Nel 1985, quando il vino nacque da una intuizione dell’enologo, biologo e produttore Giancarlo Scaglione, stupì l’Italia. La prima etichetta di Scaglione è ancora oggi la migliore: Forteto della Luja. L’assaggio diede stimoli mistici a Gianni Brera e Luigi Veronelli. Il giornalista declamò:
“Chi beve vino e lo capisce e apprezza è come colui che udendo musica sente passare gli angeli e li distingue”.
E il critico, di rinforzo:
“Non sento solo gli angeli passare, non li distinguo solo, ancora una volta mi faccio angelo di Chagall”.
È un vino da meditazione, dolce e fruttato, profuma di albicocca e di spezie. Le uve vengono vendemmiate fino a novembre, quando avanza sugli acini, che poi vengono appassiti, la muffa nobile. Scaglione, che ora ha 74 anni, dopo una carriera trascorsa come direttore della Gancia, si fece rapire da “una idea di etnoagricoltura”, il recupero e la coltivazione di piante del territorio, come le vigne locali del Moscato, pensando alla tradizione dei vini dolci di questa zona del Piemonte. Un gruppo di altri piccoli produttori condivise l’idea, fino ad ottenere la Doc nel 1992.
La cantina di Scaglione è la prima in Piemonte a funzionare a energia solare, i dieci ettari di vigneto sono coltivati con metodi biologici e inseriti in un’Oasi del Wwf. Nel casale settecentesco e nella grotta in cui è stata ricavata la cantina ora lavorano Gianni e Silvia, i figli del fondatore che per il Bosco della Luja, “grande area di purezza botanica”, si dice disposto “a fare qualsiasi sacrificio”. Con il cuore, come insegna il Divino Marchesi.

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