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Corriere Della Sera

La rivincita di Mr Tavernello … Zinzani: “L’idea era nata per rifornire l’esercito”. Acquistate cantine di Brunello e Amarone grazie al vino nel tetrapack... Nella storia delle innovazioni da bere, in un Paese che conta tanti sommelier quanti commissari tecnici della Nazionale, Giordano Zinzani è l’Henry Ford dell’enologia. Ha traghettato il vino quotidiano dai bottiglioni (con vuoto a rendere) alle confezioni in tetrapack. Zinzani è il Signor Tavernello, l’enologo che con un’idea ha creato una catena di montaggio. Formata da 32 cantine sociali che dissetano 4 milioni di famiglie italiane. Grisaglia, occhialini, erre francese, sembra il personaggio di un film di Frank Capra, il Gary Cooper che aiuta i contadini in crisi in “È arrivata la felicità”. Ne ha sostenuti 13 mila con la sua coop, pagando le uve prima destinate ai camion cisterna e trasformandole nel vino più acquistato dagli italiani, il più esportato all’estero. E il più attaccato e dileggiato, definito un vino di massa, senz’anima, che non punta sulla qualità. Agroindustria, ma di successo, dal cuore della Romagna. Tutto inizia da un affare mancato. Zinzani aveva 25 anni. “L’esercito nel 1980 ci aveva chiesto il vino per gli zaini dei soldati - racconta, cercavano un’alternativa al vetro, difficile da stivare e smaltire. Alla coop Corovin ci mettiamo al lavoro, con l’Università di Bologna e l’azienda Tetra Pak. Due anni di test per scoprire che dopo 6, 12, 18 mesi il vino non perdeva le sue caratteristiche”. La legge consentiva di usare solo vetro, legno e coccio. “Mentre aspettavamo il via libera l’esercito ha cambiato idea. Ci siamo trovati con i test, ma senza cliente. Al vino nel tetrapak ci credevo, volevo andare avanti, assieme al direttore Alfeo Martini. Gli altri dicevano che spezzare il legame tra vino e vetro sarebbe stata una provocazione”. Due anni dopo, con il primo permesso ministeriale (provvisorio), dalle 9 cantine consorziate arrivano le uve di Trebbiano, per il bianco in brik. “Ci mancava il nome. Le proposte delle agenzie milanesi non ci piacevano, ci siamo fidati di un gruppo di ragazzi di Imola, età media 27 anni. Hanno pensato a un richiamo alla taverna e quindi alla convivialità e hanno disegnato il marchio. Per 500 mila lire di onorario. Ancora adesso rimpiangono di averci fatto pagare così poco”. È la Standa, all’epoca del gruppo Ferruzzi - Montedison, a firmare l’ordine di acquisto numero 1. “Sei milioni di litri in 9 mesi. Con lo scandalo del metanolo nel 1986 siamo decollati, perché il vino nel tetrapak, non era implicato. Migliaia di contadini ci portavano il Trebbiano, i nostri enologi li seguivano con direttive su come gestire le vigne. Abbiamo quindi lanciato il Tavernello rosso, con il Sangiovese. L’Emilia Romagna non ci bastava più, ci serviva una rete di cantine che rifornissero i serbatoi di Forlì. Ora le uve arrivano da Friuli Venezia Giulia, Umbria, Marche, Toscana, Puglia e Sicilia. Produciamo fino a 80 milioni di litri l’anno”. Il Tavernello base (adesso c’è anche la versione frizzante in bottiglia) si acquista a 1,59 euro al litro. Come è possibile garantire la qualità? “Il vino sfuso che usiamo - fa i conti Zinzani - costa meno di 50 centesimi. Con 80 copriamo tutti i costi, grazie alle economie di scala”. Con l’idea del vino nel cartone Caviro, coop che ha inglobato Corovin, fattura 304 milioni. Può contare su 37 mila ettari di vigneto. Tratta l’11% delle uve italiane, un’enormità, 7 milioni di quintali. Ha 500 dipendenti. Con tutti i marchi che sono stati lanciati o acquistati, Caviro raggiunge i 194 milioni di litri. Con i primi ricavi, il Signor Tavernello e soci hanno acquistato ore di pubblicità in tv. Obiettivo: spiegare che “è un vino onesto, per le famiglie, che si fa con l’uva e non con le polverine”. I critici, dall’inizio, si sono girati dall’altra parte. Massimo Alberini, sul Corriere nel 1991, ha scritto sul vino nel tetrapack: “Quelle scatole, in frigorifero, si confondono con quelle della Centrale del latte”. Ad una fiera di vini artigianali, un produttore di Barolo ha versato, senza svelare cosa fosse, un bicchiere di rosso al critico Alessandro Morichetti di Intravino. Che l’ha elogiato, come molti altri alla fiera. Jacopo Cossater, sullo stesso sito, ha scritto che “il Tavernello è corretto, senza difetti apparenti. Ma non lo acquisto perché in un vino cerco emozioni non correttezze”. A Faenza, nella sede centrale di Caviro, sorridono. “L’essere visti come dissacratori della nobiltà del vino è stata una fortuna, nessuno ci faceva concorrenza e il fatturato cresceva. È stata una operazione di marketing ben riuscita”, ricorda Secondo Ricci, ex presidente di Caviro nel libro “Il caso Tavernello” (Silvia Williams, Homeless Book). Trentasette anni dopo Zinzani, il Signor Tavernello, è ancora l’enologo della Caviro. È diventato il presidente del Consorzio Vini di Romagna. Grazie al Tavernello la sua coop si è scolata la maggioranza della Cesari, storico marchio dell’Amarone. E poi delle Cantine Leonardo (Chianti) e della Cantina di Montalcino, quella del Brunello Da Vinci, 750 ettari toscani. La rivincita del Signor Tavernello.

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