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Corriere Economia

Vino L’Italia scommette sulle proprie radici ... Ora le cantine preferiscono i vitigni autoctoni e la personalizzazione Una tendenza comune alla Francia, che privilegia il prodotto alle quantità... Trend Produzione in calo, a differenza di quanto avviene in Sudamerica e negli States... I vino agli antipodi. Esistono due mondi del vino con due filosofie e scelte strategiche diametralmente opposte. Negli ultimi 5 anni la produzione media dell’Europa a 27 è progressivamente diminuita, passando da 176,5 milioni di ettoli litri a 152 milioni di ettolitri stimati per il 2010, con una contrazione del 14 per cento in 5 anni. Nello stesso periodo, i Paesi concorrenti dell’emisfero Sud e gli Usa, al contrario, hanno fatto registrare un andamento è opposto, con una produzione media passata da 105,7 a 107,2 milioni di ettolitri dal 2006 al 2010 (+1,4%). A segnare questo andamento, hanno inciso le produzioni di Argentina (+5,8% 2006/2010) e Cile (+7%). Un percorso opposto a quello dei paesi sudamericani che privilegiano grandi quantità a prezzi medio-bassi e qualità medie per conquistare ampie fasce di consumatori.

La spinta dell’export

In Italia il valore del settore nel 2010 ha superato di poco 8 miliardi di euro, grazie all’incremento delle esportazioni registrate nel periodo (+10,2% in valore, 3,6 miliardi). Una cifra che con l’indotto sale a 11 miliardi grazie anche a un consumo domestico che, seppure in sofferenza, riguarda ancora più di 20 milioni di ettolitri che equivalgono a circa 4,5 miliardi di introiti. Eppure, da più parti, si grida all’allarme per il calo dei consumi interni. Una flessione che, per la prima volta ha toccato persino il settore alimentare. “Quello della crisi dei consumi interni di vino - dice Piero Antinori, presidente dell’Istituto del vino italiano di qualità Grandi Marchi - è un fenomeno fisiologico, preoccupiamoci piuttosto di vendere bene nel resto del mondo. Il vino di qualità è il prodotto più globale in assoluto, non vedo perché ci si debba focalizzare su una nicchia di 60 milioni di abitanti quando fuori c’è un mercato di 6 miliardi di persone da conquistare. Per una volta il nostro Paese dovrebbe pensare a crescere, non a conservare. E non è indispensabile andare a cercare sperduti mercati emergenti: basta vedere quanto sono apprezzati i vini italiani in paesi come gli Stati Uniti o la Russia”. È un problema non esclusivamente italiano. “Anche in Francia - prosegue Antinori - i consumi interni sono calati, ma questo non ha distolto dalla conquista di nuovi mercati di sbocco secondo una strategia comune e ben organizzata, ed è quello in Italia non si riesce a fare, perché manca una cabina di regia in grado di governare un settore fortemente polverizzato. Per questo allarmarsi per un calo fisiologico dei consumi interni è come guardare la pagliuzza per non vedere la trave. Servono azioni coordinate che servano a presentare il sistema del vino italiano nella sua completezza”.

Qualità locali

L’Italia però ha caratteristiche diverse da quelle di realtà come Cile o Australia, paesi in cui la produzione è omogenea e può contare su grandi quantità. “Quei paesi producono da vitigni internazionali - precisa il presidente di Moncaro, Donano Marchetti —. In Italia abbiamo una varietà di autoctoni che ci pone in condizione di poter variare la nostra offerta come pochi altri. La nostra personale esperienza ci dice che il primo elemento da valorizzare è il brand, la storia del territorio e l’autoctono che sta dietro a un vino. E una tecnica che funziona sul mercato domestico come in quello internazionale, dove la diversità e la qualità continuano ad essere fattori determinanti”. Un po’ come successo alla stessa Moncaro che in Cina ha concluso un accordo per una joint-venture con Mozhuang per commercializzare i vini. Un accordo al 50%. “In Cina stanno diventando competenti - conferma Marchetti - toccherà a noi spiegare le peculiarità dei nostri vini, anche se con un partner locale”.

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