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Corriere Lavoro / Corriere Della Sera

Le difficoltà e le soddisfazioni del viticoltore di montagna ... «La nostra sfida è coltivare le viti là dove il territorio è più aspro»L a chiamano viticoltura eroica. Potrebbero chiamarla anche viticoltura folle. Perché solo degli eroi o degli innamorati pazzi del vino possono sobbarcarsi le fatiche di una coltivazione praticata in zone difficoltose al limite delle possibilità umane. Pensate ai vigneti che si stagliano in faccia alle cime della Valtellina. Oppure pensate alle colline liguri delle Cinque Terre dove i filari graffiano la terra ritagliandosi un po’ di spazio per produrre quel vino che Plinio il vecchio definiva già «lunare» a causa del paesaggio in cui si produceva. Indagando un po’ si scopre che gli «autori» certi paesaggi viticoli sono i Greci, gli Etruschi, i Romani, antichi popoli che avevano già intuito l’importanza di certi luoghi. E’ grazie a loro che oggi i turisti in questi luoghi assaggiano il vino ma anche il paesaggio. L’azienda Les Cretes di Aymavilles in Valle d’Aosta è una delle più antiche e apprezzate cantine che si dedicano alla viticoltura di montagna. «La mia è un’azienda in attività da tre generazioni - dice con orgoglio Costantino Charrere - ma siamo costretti sempre a cercare di limitare i danni. Basti pensare che in Valle d’Aosta nell’800 erano 3 mila gli ettari destinati alla viticoltura mentre oggi sono appena 600. La difficoltà maggiore è il grande frazionamento: in montagna gli appezzamenti sono piccoli e, se nel tempo si spezzettano a causa di eredità e vendite, diventa difficile allestire un grosso appezzamento in grado di produrre un buon numero di bottiglie. L’altra difficoltà è rappresentata, naturalmente, dalla pendenza su cui vengono realizzati i vigneti: negli appena 18 ettari della mia azienda lavorano 8 persone a tempo pieno e 8 stagionali, in pianura ne basterebbero quattro. E’ un vantaggio per l’occupazione qui chi cerca un lavoro in vigneto non fatica a trovarla ma è chiaro che la manodopera fa salire tanto i costi di produzione». Intanto però anche a livello comunitario qualcosa comincia muoversi: c’è in corso il riconoscimento della qualità, della biodiversità e del marchio tipico dei vini di montagna. «Credo che siano riconoscimenti sacrosanti. Facciamo della biodiversità uno dei nostri vanti, facciamo pochissimi trattamenti sui nostri vitigni e incrementiamo soprattutto gli autoctoni. Ma anche i vitigni internazionali ci danno grandi risultati: lo Chardonnay prodotto in Valle d’Aosta ha risultati straordinari: gli sbalzi di temperatura ci permettono di vendemmiare a fine ottobre».

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