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Corriereconomia / Corriere Della Sera

Vino. Cin cin collettivi per sfondare all’estero ... Consorzi e associazioni studiano strategie aggregative Obiettivo promuovere il made in Italy negli Emergenti ... Meno consumi, meno produzione, ma fatturati più alti. E questa la situazione in cui si trova il comparto enologico italiano che, all’indomani della vendemmia 2012, manda comunque segnali di tenuta che di questi tempi risultano merce rara. Ma la nuova parola d’ordine sembra essere l’aggregazione, non tanto economica quanto nel campo della promozione, della comunicazione e del marketing per dare voce e forza a un comparto tra i leader del made in Italy che ha nell’export il motore più efficace. “Dobbiamo comunicare di più e meglio le nostre conquiste - spiega Ettore Nicoletto, presidente del Consorzio Italia del vino -. Occorre che il “Sistema vino” con il supporto delle istituzioni comunichi in modo univoco le innovazioni degli ultimi vent’anni a vantaggio di un bere più sano e naturale. Penso alla significativa riduzione della chimica nei vigneti, penso ai vini con livelli di solfiti sempre più bassi”. Dal 2009, il Consorzio Italia del Vino riunisce alcune tra le più importanti aziende per iniziare un percorso di valorizzazione del prodotto vino, attraverso un approccio di sistema. Un progetto atipico per la cultura dell’enologia (e di tutto il tessuto industriale italiano):
mettere da parte gli individualismi delle singole imprese per dare centralità al vino, per promuovere i suoi territori, il suo patrimonio genetico unico ed inimitabile e l’alta qualità e pregio. “Non pretendiamo di risolvere il problema dell’eccessiva frammentazione - continua Nicoletto - però poniamo il problema. Infatti paghiamo gli errori di un’immagine del nostro Paese promossa in modo frammentato e scoordinato, affidata quasi interamente alle iniziative delle singole cantine o in rari casi a singoli consorzi. Senza massicci investimenti in comunicazione e formazione degli operatori locali, rischieremo di continuare ad avere un ruolo marginale. O di arrivare in ritardo ad un traguardo che abbiamo i mezzi e le qualità per raggiungere più rapidamente. Serve quindi una cabina di regia e serve subito se vogliamo continuare a sostenere la posizione competitiva che il nostro sistema ha saputo sviluppare e consolidare nell’ultimo decennio sullo scacchiere internazionale”. L’aggregazione si fa strada tra vini di alta fascia così come tra quelli appartenenti alla stessa area produttiva. Un altro caso emblematico è quello che riguarda l’Accademia del barolo, un’associazione di 14 produttori d’eccellenza con un progetto originale. “Il nostro obiettivo è quello di farci conoscere meglio all’estero e cerchiamo di farlo rivolgendoci a consumatori e addetti ai lavori - spiega Stefano Gagliardo che rappresenta la sesta generazione della cantina di famiglia, tra le più prestigiose del panorama enologico italiano -. Facciamo formazione nei paesi emergenti, soprattutto asiatici per far capire il nostro territorio, far conoscere le nostre lavorazioni, far apprezzare appieno la qualità dei nostri vini. Anche il Barolo che è uno dei grandi vini italiani più noti nel mondo spesso stenta nel confronto di notorietà con i rossi di Borgogna. Eppure quando andiamo al confronto i nostri vini ricevono apprezzamenti di pari livello. Abbiamo lavorato a lungo per raggiungere alti vertici di qualità, adesso dobbiamo promuovere di più e meglio il nostro prodotto nel mondo. E in questo senso i francesi continuano ad essere ancora dei maestri”.
Ma anche i maestri francesi guardano con attenzione all’Italia, al suo mercato e al modello di business che sta crescendo. “Il mercato Italiano è molto ricettivo verso i prodotti di eccellenza come il nostro dice Marco Ravasi, Brand director di Dom Pérignon Italia - per esempio la linea OEnothéque (le annate storiche riproposte dopo anni dal loro esordio sul mercato) è una bellissima realtà che in da noi ha più successo che in ogni altro paese. Quello italiano è un mercato esperto e maturo, ma che sa premiare la qualità. Basti pensare che Richard Geoffroy, lo Chef de Cave di Dom Pérignon, viene spesso in Italia per studiare abbinamenti con i nostri prodotti: questo legame ha dato luogo ad esperienze che hanno lasciato il segno negli anni”. Italia-Francia, due competitor sempre in gara che nell’enologia potrebbero imparare l’uno dall’altro strategie per la conquista di mercati esteri.

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