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Corriereconomia

Imprese. L’export? Si cattura con la Rete ... Dalle esportazioni all’innovazione va meglio chi si aggrega Anche le banche garantiscono più credito e rating migliore ... Stavolta la foto non è esaltante. E non potrebbe essere diversamente. L’annuale rapporto di Unicredit sulle piccole e medie imprese è un’istantanea che questa volta immortala la grande fatica e la sfiducia che attanaglia le Pmi italiane. In un secondo semestre in cui le turbolenze economiche hanno vanificato quasi tutta la ripresa che le aziende avevano faticosamente sostenuto nell’ultimo biennio, era inevitabile che adesso si registrasse un calo di fiducia nelle piccole e medie imprese: molto più alto in settori in forte affanno (edilizia e commercio al dettaglio) e un po’ meno nella grande distribuzione. Ma in un sistema economico che stenta, tutti sanno che bisogna trovare soluzioni e vie d’uscita. Ogni soluzione affidabile, in un mercato globale tanto complesso, richiede però investimenti e capacità strategiche e manageriali molto elevate: l’export su scala mondiale, l’innovazione, l’internazionalizzazione, sono strumenti efficaci anti-crisi ma adatti a realtà medio-grandi e già strutturate.

Fronte anticrisi

La via alternativa si chiama aggregazione o rete d’impresa. Negli anni passati l’Italia si era distinta per il suo modello fatto di distretti produttivi, una soluzione che ha funzionato in modo eccellente in un sistema economico alimentato dai consumi regionali e nazionali. La creazione del mercato unico europeo e poi la globalizzazione, ha totalmente scompaginato quell’assetto portando a una rischiosissima corsa al ribasso dei prezzi e un costante rilancio verso la complessità dei prodotti da immettere nel mercato. La concorrenza tra distretti o anche all’interno degli stessi distretti era una lotta ad armi pari che faceva lievitare le competitività di player medio-piccoli alle prese con problemi simili (costo delle materie prime, penetrazione dei mercati esteri ecc.). Adesso che la sfida è diventata globale, il settore manifatturiero italiano deve confrontarsi con aziende estere più strutturate, talvolta colossi multinazionali, e quindi diventa molto più difficile, per le pmi italiane, vincere la sfida. “Le piccole e medie imprese hanno minori capacità da investire nella creazione di piattaforme distributive o nella promozione del marchio, minori risorse per la ricerca e sviluppo di prodotti e processi competitivi - spiega Roberto Nicastro, direttore generale di Unicredit - hanno minore forza contrattuale con i distributori; Questo almeno, finché le pmi continueranno a battersi da sole. Ma le difficoltà non producono gli stessi effetti per tutti. Si allarga sempre di più il divario tra chi va bene e chi va male. Sintomo di problemi complessi ma anche di possibili soluzioni”.
Una forbice che ha molte variabili ma un elemento che spicca più degli altri: dalla ricerca di Unicredit emerge che le aziende che hanno saputo fare rete hanno risultati migliori in termini di fatturato, export e innovazione. “Rimanere da soli oggi è più che mai penalizzante - conferma Nicastro - con le reti d’impresa di raggiunge maggior solidità economica, adeguate risorse umane e capitali da investire in internazionalizzazione, export e innovazione. Anche noi diamo migliori riconoscimenti di rating a chi entra in una rete.”.
Malgrado tutto però il numero di piccole e medie imprese che risulta essere raggruppato in rete è ancora esiguo. Probabilmente servono condizioni ancora più favorevoli. “Non credo - obietta il direttore generale di Unicredit - è più un tema di cultura, la prospettiva di una maggiore competitività può essere un incentivo formidabile. E poi non bisogna considerare solo le reti ma anche i consorzi, le associazioni temporanee di impresa, i distretti e ogni forma aggregativa tra azienda di uno stesso settore o di un’unica filiera”.

La cique I

Forse però un migliore accesso al credito potrebbe essere un incentivo ancora più efficace considerato che a dicembre sono arrivati gli aiuti della Bce ma le aziende non ne hanno visto ancora concreti benefici. “Li vedranno - afferma Nicastro - di solito servono almeno un paio di mesi perché l’effetto di alcune decisioni macro si faccia sentire sui mercati. Il contesto è complesso: negli ultimi anni la quantità di credito che le banche hanno messo a disposizione di famiglie, imprese e Stato in Italia è stata elevatissima e superiore di oltre 300 miliardi alla raccolta di depositi dal sistema Italia.
Adesso una banca come la nostra - che ha lanciato un proprio massiccio aumento di capitale proprio per supportare i territori e l’economia italiana, ha deciso di dare un segnale forte: il supporto alla ripatrimonializzazione delle imprese, in cui abbiamo investito un plafond di i miliardo di euro. Ci siamo chiesti come impiegare l’aumento di capitale ed i fondi che arrivano dalla Bce. Abbiamo pensato a un piano fondato su cinque I: internazionalizzazione, integrazione tra imprese, infrastrutture, innovazione e irrobustimento del capitale (attraverso la ripatrimonializzazione. la nostra ricetta per il rilancio dei territori e del paese).

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