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VINOVIP AL FORTE

Da Angelo Gaja ad Attilio Scienza, il vino italiano tra nuove economie e l’apporto della scienza

La crescita e lo sviluppo del settore trainante del made in Italy a Wine & Money, confronto produttori-esperti a VinoVip al Forte con Civiltà del Bere
ANGELO GAJA, ATTILIO SCIENZA, CIVILTÀ DEL BERE, VINOVIP, Italia
Produttori ed esperti a confronto sulla crescita del vino italiano a VinoVip al Forte

L’unico comune italiano dove non si produce vino, Forte dei Marmi, si scopre terra franca in cui parlare di vino. Attraverso l’atmosfera sognante della riviera versiliana, nei suoi luoghi storici come la Capannina e il Bistrot Ristorante, “VinoVip”, ventennale kermesse organizzata da Civiltà del Bere, si presenta nella versione marittima: “VinoVip al Forte”. Sceso dalle atmosfere altrettanto esclusive di Cortina d’Ampezzo, il convegno di scena oggi ha messo l’accento sul binomio “Wine & Money”, attraverso gli interventi di mostri sacri come Angelo Gaja e Attilio Scienza, capaci di tracciare lo sviluppo del comparto vitivinicolo italiano e la storia del suo commercio, anche attraverso le case history di alcune delle maggiori griffe del vino italiano, da Antinori a Marchesi di Barolo, da Tasca d’Almerita a Zenato, da Bortolomiol a Siddùra, da Masciarelli a Mastroberardino, raccontate dai loro protagonisti, con il contributo degli interventi di Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine Monitor, e del wine economist americano Mike Veseth.
Proprio le dinamiche di prezzo hanno fatto da fil rouge al confronto, in modo particolare dell’intervento di angelo Gaja. “Nel 1978, a New York, fui accompagnato da un brooker in un ristorante a Park Avenue per vendere il mio vino. Mi sentii dire: il mercato americano non è pronto a questi prezzi, ci si dedichi per anni e il lavoro pagherà”. Il racconto del “roi” del Barbaresco inizia così. “Nel 1981, a Boston, durante una degustazione con l’importatore, ad un certo punto il giornalista più importante in sala, si lamentò dei prezzi dei miei vini, secondo lui troppo alti. Nel 1992, a Miami, l’importatore mi portò da dei clienti. Dove sapevo che non avrei mai venduto i miei vini Gaja, vedo i vini italiani che aveva, tutti di bassa lega. Il ristoratore era arrabbiato perché diceva che gli italiani si erano montati la testa. Fino a 25 anni fa il gap tra i prezzi era elevatissimo. Il primo fu Biondi Santi ad alzare i prezzi ed era quasi ridicolizzato: gli inglesi ritenevano i vini italiani economici e divertenti”.
Sul vino italiano del resto è da sempre presente l’ombra minacciosa della Francia, con le sue cifre da capogiro, ed un fatturato annuo lontano da quello del Belpaese. “La grande chimera di raggiungere la Francia in termini di prezzo medio - riprende Gaja - non deve essere un’ossessione. I numeri parlano chiaro. L’Italia non deve cercare di fare la gara con la Francia, semmai deve farla con la Spagna”. Ed il futuro potrebbe non essere sempre roseo per i cugini d’Oltralpe, continua Gaja: “la Francia presenta comunque delle problematiche soprattutto in relazione al cambiamento climatico. La nostra composizione del terreno è migliore, per la nostra esposizione tra il mare ai lati e le montagne e dunque saremo più bravi ad affrontare le problematiche legate a questa criticità. La nostra sfida è quella di alzare il prezzo medio al litro esportato, attualmente fissato a 2,70 euro. In particolare perché abbiamo bisogno di crescere con gli investimenti, abbiamo bisogno di marketing. Sui mercati esteri bisogna far crescere l’appetibilità del vino italiano, costruendo una piramide completa dal più basso al più alto. Siamo in ritardo, specialmente sulle agenzie di rete di distribuzione. È essenziale far crescere la domanda del vino sui mercati esteri. Bisogna capire che le cantine artigiane sono complementari ai grandi. Bisogna far crescere gli artigiani che sono utili a tutti, come l’invenzione del vino naturale, che ha portato una maggiore attenzione in vigna. Gli artigiani devono essere liberati dalla piovra della burocrazia. Inoltre bisogna aiutare le Cantine Sociali: sono ancora dei viticoltori autentici, dovrebbero lavorare sul brand e smettere di fare così tanto private label”.
Nell’analisi del produttore piemontese, anche il sistema fieristico: “a Bordeaux ci sono dei turbamenti perché produttori di altre regioni vorrebbero fare un wine festival a Parigi. Specialmente per il fatto che è sempre più estesa la partecipazione ai privati. E poi i problemi di logistica, come il traffico, i prezzi e le tariffe degli alberghi. Poi la competizione degli chateaux. Che organizzano tantissime iniziative in contemporanea, spostando l’attenzione dalla fiera e lasciando a bocca asciutta i produttori dello Champagne e della Borgogna. Il Vinitaly è meraviglioso, ma dovremmo essere capaci di fare un evento diverso, magari a Milano, ogni due anni, che si basi sullo stile di vita e sul comparto agroalimentare. Una volta a Milano e un anno in capitali importanti. Basando tutto sul lato culturale, lasciando da parte le masterclass. Abbiamo bisogno di trasparenza, dicendo che le cantine che ricevono soldi pubblici continuamente non sono virtuose. E serve quindi più chiarezza sui soldi pubblici, avere un quadro chiaro. Non è possibile che il settore vinicolo abbia un bisogno costante di sostentamento pubblico”.
Parola quindi al professor Attilio Scienza, tra i massimi esperti di enologia e viticoltura a livello mondiale, che ha disegnato una limpida panoramica del settore a 360° attingendo a concetti filosofici di Aristotele e Sartre. “Uno del luoghi comuni, nell’accezione aristotelica, più diffusi nel mondo del vino sono le opposizioni. Il consumatore viene sempre coinvolto in una scelta, ad esempio vitigno autoctono contro vitigno internazionale. Questo non aiuta il mercato. Specialmente su due temi importanti come il riscaldamento terrestre e la sostenibilità. Temi su cui le notizie sono spesso false. Citando Sartre: il presente è la presa di coscienza del passato”. Ma non basta certo la filosofia: per spiegare certe dinamiche serve l’antropologia storica, capace di raccontare come i cambiamenti e il progredire dell’uomo si basino su sentimenti primigeni. “La paura - continua Scienza - è un elemento pervasivo della nostra vita. Si attraversa costantemente. In tutta la storia. Dalla paura è nata anche l’innovazione. Esempio ne è il Cristianesimo, come sostituzione all’Impero Romano. Ora noi abbiamo paura del cambiamento climatico, ma abbiamo tutti gli strumenti per affrontarlo, così come la necessità di creare dei vitigni in grado di affrontare la siccità. La genetica è un’arte lontanissima, oggi diversa semplicemente nei metodi: il futuro sta nell’operare per avere delle nuove piante, capaci di tollerare il caldo ed impiegare meno acqua. Ci sono due strade ancora, quella della cisgenetica e la nostra, che è quella della ricerca”.
Il wine economist americano Mike Veseth, autore di molti libri sul concetto di economia del vino, ha invece focalizzato l’attenzione sul concetto di brand, e di come il marketing abbia contribuito a creare vini fuori dalle logiche tipiche del settore, ma semplicemente su operazioni più simili al settore beverage. Denis Pantini di Nomisma, invece, ha riportato la sua relazione sui numeri del vino, presentata anche a Vinitaly, confermando il trend positivo per i vini spumanti e l’arresto per i fermi italiani, soprattutto nei Paesi storici del commercio, Usa e Germania su tutti. A raccontare le proprie case history di produttori storici, portando la propria esperienza di gestione del brand familiare, protagonisti del mondo enoico come Allegra Antinori, che ha parlato della storia del padre Piero e del trust che come famiglia hanno organizzato per tutelare l’azienda; Nadia Zenato, sulla costruzione del brand di famiglia, legato alla Lugana, in Russia; Elvira Bortolomiol, sulla rivoluzione green del Prosecco in Valdobbiadene; la formazione capillare di tutte le maestranze dell’azienda da parte di Tasca d’Almerita; la valorizzazione della cultura e del patrimonio territoriale in Gallura, cuore enoico della Sardegna, raccontata da Massimo Ruggiero di Siddura; la tutela dalle frodi in Cina per le etichette di Masciarelli, nelle parole di Marina Cvetic; la valorizzazione del concetto “piccolo è bello” secondo Ernesto Abbona, a capo della griffe Marchesi di Barolo; l’analisi socioeconomica di Piero Mastroberardino, tra i produttori simbolo della Campania. Infine, spazio al “Premio Kahil” alla carriera al giornalista Cesare Pillon, per l’appassionato racconto del vino comunicato con stile, ironia e precisione.

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