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SCENARI

Da “scarpe grosse e cervello fino” ad analista tech: come cambia il mestiere del contadino

Tommaso Beccatelli (Plantvoice): “molto difficilmente sarà ancora assimilato a un lavoratore manuale, oggi è più uno scienziato in camice bianco”
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La tecnologia è sempre più rilevante nei lavori agricoli (ph: freepic.diller by Freepik)

Succede per tutti i mestieri, e, probabilmente, lo sarà sempre di più, in particolar modo in un periodo dove l’intelligenza artificiale si sta facendo largo. Eppure, le tecnologie, non meritano di essere “demonizzate” a priori e viste soltanto come un’equazione negativa, e quindi “più computer uguale meno lavoro”. L’agricoltura lo dimostra perché, considerando i cambiamenti climatici in corso, la necessità di ottimizzare l’acqua in un mondo dove lo stress idrico fa paura, così come di compiere azioni mirate, sono degli esempi in cui senza tecnologia l’agricoltura avrebbe un futuro perlomeno più incerto. E non è detto che le novità non portino anche opportunità di lavoro.
“Un settore dove la tecnologia sta cambiando profondamente il modo di lavorare, con l’effetto di tornare ad attrarre talenti anziché allontanarli, soprattutto Millenial e Gen Z, è quello dell’agricoltura. O, per dirlo con un linguaggio da terzo millennio, l’agritech”, ha sottolineato Tommaso Beccatelli, imprenditore agricolo, Cto e co-founder di Plantvoice, una società benefit che ha ideato una tecnologia che permette l’analisi in tempo reale della linfa delle piante, per valutarne lo stato di stress. “Tutta la ricerca in questo settore parte da un fondamento: la scarsità di risorse conseguente all’aumento della popolazione mondiale. Le stime dicono che nel 2050 saremo 10 miliardi di persone sul pianeta Terra, mentre i fatti evidenziano che il terreno coltivabile si va esaurendo. Ogni anno 10 milioni di ettari di terre vengono convertiti per attività agricole, una minaccia per la biodiversità e per la sopravvivenza dell’ecosistema: proseguendo con questo ritmo, entro il 2050 sarà necessaria un’ulteriore area di dimensioni paragonabili a quella del Brasile per soddisfare la crescente richiesta di cibo. Uno scenario evidentemente non sostenibile. È qui che subentrano le nuove tecnologie agritech, dove il digitale si sostituisce alla chimica per proteggere le colture, aumentare la resa dei terreni e ottimizzare l’utilizzo di risorse cruciali come l’acqua. In questo contesto l’agricoltura 4.0 è destinata a crescere esponenzialmente. McKinsey calcola che il mercato oggi abbia un valore di 21,5 miliardi di euro e possa segnare un aumento dell’8% annuo fino al 2026. Anche in Italia, i dati ricavati dall’Osservatorio Smart Agrifood del Polimi e dal Centro Studi Tim, segnala che nel 2023, il fatturato delle aziende che offrono soluzioni 4.0 per l’agricoltura ha raggiunto la cifra di 2,5 miliardi di euro, con un aumento del 20% sull’anno precedente”.
Beccatelli evidenza come la digitalizzazione e la tecnologia possono aiutare sia ad aumentare la produttività sia a tutelare la salute delle piante, “con la riduzione dell’uso di pesticidi e insetticidi, in quanto le malattie vengono individuate e affrontate nelle prime fasi dell’infezione, e ottimizzando l’uso dell’acqua (il 70% del consumo idrico mondiale dell’uomo è destinato all’agricoltura e il 60% di quest’acqua viene sprecata, a causa di sistemi di irrigazione inefficienti)”. Quindi “il mestiere del contadino è destinato ad evolversi e a mutare assieme con questi cambiamenti. L’agricoltore molto difficilmente potrà ancora essere assimilato a un lavoratore manuale: oggi è più uno scienziato in camice bianco, un tecnico che si assicura che gli aratri siano perfettamente funzionanti, un ricercatore che analizza i dati raccolti sul campo dai sensori e quelli satellitari sullo stato di salute della terra e delle piante, un matematico e chimico che calcola in maniera ottimale l’utilizzo di fitofarmaci e nutrienti in modo da abbattere i costi e conservare la salubrità di frutta e verdure”. Beccatelli aggiunge che “oggi la tecnologia sta tentando di dare una risposta efficiente alla domanda di mercato che vuole indicazioni precise su come e quando intervenire, con l’obiettivo di risparmiare risorse e aumentare le rese dei terreni senza aumentare in misura proporzionale i costi. È un tema particolarmente importante in un Paese come il nostro dove le superfici sono in diverse aree orograficamente difficili”, e quindi che “l’agricoltore del futuro dovrà sempre più dialogare con i fornitori di tecnologia, avere competenze di geo-referenziazione, di agronomia per capire i vari stadi di sviluppo della pianta, di analisi dati per interpretare correttamente quelli che raccoglie dal campo. E non c’è tempo da perdere: se si resta fermi sulla rappresentazione tradizionale del contadino, scarpe grosse e cervello fino, ci si muove nel passato. È un’evoluzione che indica una strada obbligata”.

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