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SCENARI FUTURI

Dai consumi ai mercati, dai nuovi mestieri alla transizione 3.0: l’Italia del vino in tempo di Covid

Ricerca by Rome Business School: cambiamenti, trend e sfide su un settore che perde il 9% del fatturato, ma varrà 207 miliardi di dollari nel 2022
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L’Italia del vino al tempo del Covid: dai consumi ai mercati, dai nuovi mestieri alla transizione 3.0

La nuova mappa dei consumi, gli astri nascenti sia a livello di Regioni italiane che di nuovi Paesi, i consumatori del futuro (con la Cina al secondo posto nel mondo e il sorpasso della Gran Bretagna sull’Italia), le opportunità occupazionali con il boom degli Under 25 e tanti nuovi mestieri, l’evoluzione dei modelli d’impresa verso la transizione 3.0: una ricerca di Rome Business School - la business school a maggior presenza internazionale in Italia con studenti provenienti da 150 nazioni, e parte del network Formación y Universidades creato nel 2003 da De Agostini e dal Gruppo Planeta - ha approfondito i cambiamenti che al tempo del Covid stanno interessando il comparto del vino, un settore che solo nel 2019 valeva in Italia 6,4 miliardi di export, conta 310.000 imprese e che a livello globale si prevede toccherà il valore di 207 miliardi di dollari entro il 2022.
Partendo dal consumo interno, il mercato del vino pesa per il 17% sulle vendite complessive del settore beverage nel Belpaese. L’emergenza sanitaria, il distanziamento sociale, il tendenziale calo dei consumi interni, parallelamente al deciso aumento della domanda statunitense, ha fatto scivolare l’Italia al terzo posto tra i Paesi consumatori. Si beve meno e con maggiore qualità - con un vero e proprio boom dei vini biologici e la leadership salda nelle mani della Sicilia, che, con 36.000 ettari, rappresenta il 34% della superficie vitata più estesa d’Italia - ma il tasso di penetrazione resta pari all’84% degli italiani. Il Lambrusco si conferma il vino più popolare d’Italia, primo in termini di volumi, seguito a ruota dal Chianti, che però detiene il primo posto per vendite in valore. In merito a bianchi e bollicine troviamo partendo Franciacorta, Pinot, Chardonnay e Vermentino Sardo. Tra i vini emergenti, invece, spopola il Lugana, piazzandosi saldamente in prima posizione, seguito dal Primitivo Pugliese e a cascata dalla Passerina Marchigiana, dalla Ribolla Gialla Friulana e dal Negroamaro della Puglia.
Dal punto di vista regionale, spiega la Business School, va sottolineato nel 2019 il forte progresso di Sicilia (+2,4% al 45,5% di penetrazione di consumo) e Sardegna (+1,4% al 49,4%), che sono comunque in fondo alla lista per penetrazione di consumo. Tra le Regioni invece con i consumi più importanti, si nota un calo dell’Emilia Romagna (-1,4% rispetto al 2018, al 61,1%), che comunque resta la prima Regione italiana in questa classifica.
Per ciò che concerne la produzione, l’Italia si presentava ad affrontare il mercato vinicolo 2020 con un ruolo importante: nel 2019, infatti, oltre ad avere confermato la leadership mondiale a livello produttivo (47,5 milioni di ettolitri), aveva anche riconquistato il primato, seppure di misura, nelle esportazioni a volume che avevano raggiunto i 21,6 milioni di ettolitri di vino (+10%) contro i 21,4 milioni della Spagna. Le Regioni traino dell’export italiano sono Piemonte (+4,2%), Veneto (+3,2%) e Toscana (+4,4%), che nell’insieme raggiungono quasi il 70% del totale di export di vino italiano per un valore complessivo di 4,46 miliardi di euro. Guadagna terreno il Molise (con una straordinaria performace da +15,9%), ma il premio per la crescita maggiore è quello della piccola Val d’Aosta, il cui export di vini ha toccato quota +51,8%.
Per quanto riguarda, invece, il futuro, le proiezioni al 2025 del consumo evidenziano invece modifiche delle quote dei singoli Paesi rispetto ad oggi abbastanza marcate. La crisi economica potrebbe rallentare la crescita dei consumi mondiali. Per il 2020, infatti, si stima una flessione (-9%), che potrebbe essere parzialmente compensata dal “rimbalzo” del 2021 (+7%).
Capitolo consumatori: la Cina dovrebbe raggiungere il secondo posto dopo gli Usa e davanti a Francia e Germania, mentre il Regno Unito supererebbe l’Italia andandosi così a collocare al quinto posto. Anche per il vino premium, la Cina rafforzerà il suo primato davanti agli Usa, mentre il Regno Unito si troverà allineato con la Germania al terzo posto. Importante infine il contributo alla crescita dei consumi dell’Africa.

A livello globale, al netto della pandemia, stiamo assistendo ad una crescita del mercato enoico tanto che si prevede di toccare il valore di 207 miliardi di dollari entro il 2022. Sono solo dieci i Paesi in cui converge oltre la metà del mercato delle cantine di tutto il mondo: al primo posto gli Stati Uniti con un giro d’affari di 32 miliardi di dollari, seguiti dalla Cina (24 miliardi). Nell’ultimo gradino del podio la Francia (14,4 miliardi). L’Italia è solo quinta (9,7 miliardi). Tra i mercati più importanti si inseriscono anche il Brasile (3,6 miliardi), la Spagna (3,4) - dato alquanto strano visto che si tratta del terzo maggior produttore al mondo - seguita, a sorpresa, dall’India, il cui mercato enoico vale 2,7 miliardi di dollari.
Nonostante la crisi, il settore vitivinicolo manifesta interessanti potenzialità lavorative, con le aziende vitivinicole che impiegano circa 210.000 addetti, fra i quali 50.000 giovani. Si sta assistendo ad un vero e proprio “ritorno alla vigna” da parte di produttori Under 25, con un aumento record del 38%.In tutta Italia sono inoltre attivi nelle varie Università 20 Corsi di Laurea in viticoltura, enologia, enogastronomia ed alimentazione e oltre 400 corsi post-laurea legati al vino. Dopo gli studi il 41% degli studenti trova un lavoro attinente, di cui l’87% in Italia. I mestieri del vino sono numerosi e coinvolgono settori molto diversi: dal responsabile delle analisi e controllo della qualità dell’uva all’enologo, dal cantiniere al sommelier, dal wine blogger all’accompagnatore enoturistico (impegnato nella costruzione di itinerari e percorsi enogastronomici), dal brand ambassador (responsabile della comunicazione e della vendita del prodotto) al wine hunter, letteralmente “cacciatore di vini”, figura professionale di alto profilo la cui funzione è di scoprire i vini migliori per poi farli conoscere e trasmetterli al cliente, aumentando la redditività delle aziende di produzione.
Lo studio della Rome Business School ha poi messo in evidenza la necessità di puntare su un vero e proprio “Progetto Italia”, a partire da una semplificazione burocratica che ad oggi sta rallentando lo Stivale rispetto ad altri Paesi che dovrebbe unire istituzioni e territori per sostenere promozione e commercializzazione del vino italiano. Il positivo trend di consumi registrato durante il lockdown, insieme alle vendite realizzate dall’universo dell’e-commerce e del wine delivery, che nelle principali città italiane ha fatto registrare numeri da capogiro (+500% in un mese soltanto nella città di Roma) di certo non potrà compensare la vera e propria voragine nei consumi dovuta alla chiusura del canale di bar e ristoranti. Sarà necessario, infatti, cercare una strategia di accompagnamento e sostegno alle imprese verso la transizione 3.0 del vino italiano con interventi in favore della trasformazione digitale, di una maggiore sostenibilità della filiera, di natura regolamentare e semplificazione normativa.
“La ricerca condotta dal Rome Business School - Research Center - commenta Antonio Ragusa, fondatore della Rome Business School - offre un quadro informativo aggiornato e dettagliato sul settore vinicolo a livello nazionale, regionale e, più ampiamente, internazionale da cui gli operatori economici e istituzionali possono trarne utili spunti di riflessione e indicazioni operative. In questa analisi abbiamo voluto anche approfondire l’evoluzione delle professionalità connesse al settore vinicolo che, malgrado la crisi, sono molto promettenti. I risultati evidenziano la necessità di nuove competenze legate non solo alle tecniche produttive, ma sempre di più agli aspetti gestionali, di marketing e di sviluppo del business in un quadro globale. Per questo abbiamo predisposto un’offerta formativa specifica sul management del settore enogastronomico, Master in Food and Beverage Management, valutata nei ranking di Eduniversal tra le migliori al mondo”.
La ricerca è stata curata da Valerio Mancini, direttore del Rome Business School - Research Center, con il supporto di Camilla Carrega, coordinatrice del Master in Food & Beverage Management.

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