“I piccoli Comuni, i piccoli borghi, e non solo quelli di campagna, sono di nuovo al centro delle nostre attenzioni. E la cosa interessante dal punto di vista storico è che in realtà la cultura italiana sta proprio lì: se c’è una caratteristica tipica della nostra storia rispetto ad altri Paesi, è l’importanza assolutamente centrale che hanno i piccoli centri. E non parlo solo della campagna del contadino che lavora, ma anche delle piccole cittadine, che sono veramente il cuore del tessuto culturale italiano”. Non è certo la prima volta in cui, l’aver perso ogni rapporto, o quasi, con la natura, compresa quella addomesticata dal lavoro agricolo, e con quel passato contadino che non è poi così lontano, di molti piccoli borghi protagonisti della vita a distanza nel lockdown e ora nel rilancio del Paese, è al centro delle nostre riflessioni. Ma ad analizzare oggi la questione, con WineNews, in un momento storico in cui l’emergenza Covid sembra avercelo fatto riscoprire, è Massimo Montanari, tra i massimi storici dell’alimentazione al mondo, professore di Storia Medievale all’Università di Bologna, per il quale “la crisi del modello urbano rappresenta uno degli eventi culturalmente più significativi”.
Secondo lo studioso italiano, “rientra in questo discorso, anche il rapporto con la natura che si ricostituisce, con la riscoperta delle campagne, del fare le cose fatte in casa come il pane, del vivere in luoghi non asfissiati dall’urbanesimo, ed il recupero della nostra tradizione contadina e dei nostri borghi. Ormai da decenni ci riempiamo la bocca di parole come sostenibilità ed ecologia, tante volte al vento, ma che - sostiene Montanari - potrebbero non esserlo nel momento in cui la riscoperta della campagna è anche un modo diverso di guardare la natura. Nell’emergenza sanitaria abbiamo visto tutti come le piante e gli animali hanno ripreso il sopravvento, anche nelle città, costretti a prendere atto di come l’uomo è solo uno dei tanti protagonisti della vita del mondo e che dovremmo guardare a noi stessi con una maggiore dose di umiltà”.
Spesso ci dimentichiamo la centralità che nella storia hanno protagonisti apparentemente minori come i virus ed i batteri, capaci di influire, come le carestie ed i cambiamenti climatici, persino sulla nascita ed il declino di intere Nazioni. “Costituiscono la forma più elementare di vita - ricorda il professore - ma non hanno una vita propria, incidono sulla nostra. Sono sempre esistiti e, non solo oggi, ma in passato, grandi momenti di emergenza collettiva hanno influenzato ed indirizzato la vita di interi Paesi: come medievista non posso non pensare alla peste del Trecento. Succede qualcosa che uccide gran parte della popolazione e che fa riscrivere i rapporti sociali e di lavoro, costringendo a prendere atto, di certo non con la consapevolezza che abbiamo oggi dal punto di vista scientifico che ci sono episodi nella storia degli uomini che dipendono da noi anche se stiamo parlando di altri microrganismi che portiamo con noi. E come nel Trecento Boccaccio ambienta il “Decameron” nelle colline delle campagna toscana dove i gentiluomini si ritirano sperando di scappare alla peste che c’era in città, anche oggi c’è una ricerca di luoghi isolati, in campagna, per la necessità di vivere a distanza”.
“Ovunque nel mondo si parla di paesaggi, di arte, di lavoro. Ciò che non accade ovunque nel mondo è che il patrimonio culturale italiano non abita solo nei grandi musei e nelle grandi città, ma è una ricchezza diffusa su tutto il territorio in una maniera capillare che non ha uguali, e che fa sì che, in qualsiasi borgo o cittadina, trovi straordinarie opere d’arte e paesaggi che cambiano di luogo in luogo. Il lockdown ci ha costretti a prendere atto di ciò che siamo. Non so se sarà un fatto duraturo - conclude Massimo Montanari - ma se lo sarà almeno in parte, potremo dire che questa drammatica emergenza ci ha portato anche qualcosa di positivo, che lascerà traccia nella nostra cultura, perché è stato uno shock notevole”.
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