La lunga guerra commerciale tra Usa e Cina, che coinvolge ogni settore produttivo, con ricadute sulla stabilità dell’intera economia mondiale, mostra i primi segnali negativi, con i numeri del manifatturiero statunitense in calo ad aprile per la prima volta dal 2009, ed il comparto agricolo che paga forse il conto più salato, perché dopo il crollo delle esportazioni di riso e soia verso la Cina l’amministrazione Trump è dovuta ricorrere, per la seconda volta in poco più di un anno, agli aiuti di Stato. Sul piatto, 16 miliardi di dollari, che si aggiungono ai 12 dello scorso anno, per un totale di ben 28 miliardi di dollari. Le nuove misure annunciate dal dipartimento di Stato all’Agricoltura (Usda), prevedono sostegni diretti al reddito degli agricoltori per un ammontare di 14,5 miliardi di dollari, una spesa ulteriore di 1,4 miliardi sarà destinata all’acquisto di prodotti sul mercato per gli aiuti alimentari interni e 100 milioni saranno assegnati alle organizzazioni di produttori per le iniziative finalizzate all’apertura di nuovi mercati di sbocco.
Un assistenzialismo che poco si confà alla politica ed all’economia Usa, ma necessario in un contesto del genere, in cui l’agricoltura rischia di rimanere stritolata tra i gangli di uno scontro che, da lontano ma non troppo, l’Europa guarda con interesse, ma senza cogliere la portata del momento storico, né i rischi di un equilibrio fragile, in cui l’agroalimentare europeo e le sue denominazioni non godono delle tutele necessarie (basti pensare alla minaccia dei formaggi “finti” italiani prodotti in Usa e pronti ad invadere il mercato europeo), rischiando di pagare anche loro lo scotto di nuovi dazi (più volte minacciati dal Presidente Usa Donald Trump), senza considerare che la nuova Pac rischia di vedere tagli assai significativi per contenere il taglio del bilancio europeo successivo all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione.
In questo contesto, come sottolinea Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, “la chiusura del mercato cinese ha innescato pesanti riduzioni dei prezzi all’origine, ma resta il fatto che gli aiuti possono distorcere le normali scelte colturali degli agricoltori americani. E le conseguenze potrebbero farsi sentire anche sui mercati internazionali, tenuto conto che circa il 20% della produzione agricola Usa è destinata alle esportazioni. Apprezziamo la tempestività e la determinazione con la quale l’Amministrazione americana è impegnata a sostenere l’agricoltura che, indubbiamente, è tra i settori più colpiti dalle tensioni commerciali con la Cina - ha aggiunto Giansanti - a livello europeo, invece, è stato proposto un taglio dei fondi all’agricoltura per far quadrare i conti della Brexit. Anche alla luce dello scenario internazionale, è indispensabile un cambio di direzione per garantire la sicurezza alimentare e la stabilità dei prezzi”.
Più ampia l’analisi della Coldiretti, secondo cui “l’annuncio del segretario all’Agricoltura degli Stati Uniti, Sonny Perdue, di creare un piano di 16 miliardi di dollari per aiutare gli agricoltori americani a far fronte al pesante impatto della guerra commerciale Usa-Cina è destinato ad avere effetti sugli equilibri commerciali internazionali e la situazione va attentamente monitorata da parte dell’Unione Europea per verificare l’opportunità di attivare, nel caso di necessità, misure di intervento straordinarie anche a livello comunitario. Gli Stati Uniti - ricorda la Coldiretti - si contendono con il Brasile il primato globale nei raccolti seguiti, sul podio, dall’Argentina per un totale dell’80% dei raccolti mondiali. La soia è tra i prodotti agricoli più coltivati nel mondo, protagonista delle borse merci internazionali perché largamente usata per l’alimentazione degli animali da allevamento nei diversi continenti. Per sostenere l’aumento del consumo di carne con i propri allevamenti la Cina - conclude la Coldiretti -è il principale acquirente mondiale della soia, ma la guerra dei dazi fa cambiare le fonti di approvvigionamento a favore del Brasile, con effetti anche sui prezzi del latte e della carne”.
Non bastassero gli effetti delle tensioni tra Cina e Usa, proprio da Oltreoceano arriva un’ulteriore minaccia alle produzioni europee e, soprattutto, italiane, che vede l’agroalimentare ancora una volta vittima di “giochi” e trattative ben più grandi: gli Usa, infatti, sono pronti a invadere il Vecchio Continente con le imitazioni a stelle e strisce dei formaggi europei, che negli Stati Uniti hanno raggiunto, solo per i tarocchi di tipo italiano, il quantitativo record di 2,4 miliardi di chili all’anno. A denunciarlo è la Coldiretti, nel rendere noti i contenuti della lettera inviata dalla lobby dell’industria casearia Usa (CCFN) al Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, nell’ambito della procedura di consultazione per far scattare nuovi dazi Usa nei confronti di prodotti importati dall’Unione Europea per la disputa sull’industria aeronautica, che dovrà concludersi il 28 maggio.
L’associazione casearia statunitense, denuncia la Coldiretti, chiede di imporre dazi alle importazioni di formaggi europei se non verrà aperto il mercato dell’Unione ai tarocchi statunitensi, venduti anche con nomi che richiamano esplicitamente le specialità casearie più note del Belpaese senza averci nulla a che fare, dalla mozzarella alla ricotta, dal provolone all’asiago, dal parmesan al romano, ottenuto però senza latte di pecora. Una richiesta rafforzata purtroppo dal fatto che con l’accordo di libero scambio con il Canada (Ceta) per la prima volta nella storia l’Unione Europea ha legittimato in un trattato internazionale, denuncia Coldiretti, la pirateria alimentare a danno dei prodotti made in Italy più prestigiosi, accordando esplicitamente il via libera alle imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità nazionali, dall’asiago alla fontina dal gorgonzola, ma può anche essere liberamente prodotto e commercializzato dal Canada falso Parmigiano Reggiano con la traduzione di parmesan.
Tornando ai numeri dell’italian sounding legato alla produzione casearia Usa, in cima alla classifica c’è la mozzarella, con 1,89 miliardi di chili, seguita dal parmesan con 204 milioni di chili, dal provolone con 180 milioni di chili, dalla ricotta con 108 milioni di chili e dal Romano con 26 milioni di chili. Il risultato è che sul mercato americano appena l’1% in quantità dei formaggi di tipo italiano consumati ha in realtà un legame con la realtà produttiva tricolore, mentre il resto è realizzato sul suolo americano. Una situazione che rischia di aggravarsi con la minaccia di Trump di imporre dazi su una black list di prodotti europei che comprende anche i formaggi made in Italy con il valore dell’export che ha raggiunto 273 milioni nel 2018. In realtà, nel mirino del presidente degli Stati Uniti è finita circa la metà (50%) degli alimentari e delle bevande made in Italy esportate in Usa, dove nel 2018 si è registrato il record per un valore di 4,2 miliardi (+2%). Nella black list sotto esame, ricorda la Coldiretti, sono finiti infatti oltre ai formaggi anche vini tra i quali il Prosecco ed il Marsala , l’olio di oliva, gli agrumi, l’uva, le marmellate, i succhi di frutta, l’acqua e i superalcolici.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024