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REAZIONI

Dazi Usa, il vino e l’agricoltura italiana chiedono di trattare ancora, in vista del 7 agosto

I commenti (e i numeri) di Unione Italiana Vini-Uiv e Cia-Agricoltori Italiani, dopo l’ordine esecutivo sulle tariffe di Donald Trump
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Dazi Usa, il vino e l’agricoltura italiana chiedono di trattare ancora

In una vicenda che si trascina da tempo e senza offrire troppe certezze come quella dei dazi Usa, in particolare sui prodotti Ue, dopo l’ordine operativo del presidente americano Trump di questa notte, che ha confermato la soglia del 15% che entrerà in vigore, però, dal 7 agosto, le organizzazioni di categoria spingono perché si continui a trattare per migliorare il più possibile un accordo che se da un lato ha limitato i danni rispetto alle prime roboanti dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti, dall’altro non lascia tranquillo nessun settore. E soprattutto un settore come il vino italiano, che in Usa è molto esposto, visto che negli States realizza quasi un quarto del suo export in valore (1,9 miliardi di euro nel 2024, su 8,2 in totale, secondo i dati Istat).
“Chiediamo al Governo italiano e, assieme al Ceev, alla Commissione Europea, che il negoziato Ue-Usa sul vino prosegua nelle prossime settimane e che il nostro prodotto venga inserito nella lista dei prodotti agricoli europei a tariffa zero o a dazio ridotto - ha detto il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi - in questi giorni hanno ufficialmente espresso questa stessa richiesta non solo la US Wine Trade Alliance ma anche la National Restaurant Association statunitense”.

Secondo un’analisi dell’Osservatorio del vino di Unione italiana vini (Uiv), è il Veneto, con circa 600 milioni di euro e una quota al 21% sul totale delle esportazioni di vino made in Italy, la regione che spedisce più vini negli Stati Uniti. Ma Pinot grigio delle Venezie, Prosecco e Amarone rappresentano solo una parte delle denominazioni regionali che si dovranno confrontare con l’incubo dei dazi. Con il Brunello di Montalcino, il Chianti e gli altri rossi a denominazione d’origine, la Toscana è l’altra grande regione esportatrice da sempre fortemente Usa-oriented, con una share statunitense rispetto all’export complessivo che arriva al 32%, pari a circa 380 milioni di euro. Significativa anche la quota del terzo protagonista del podio per valore, il Piemonte, che deve al mercato americano il 21% del suo fatturato estero, grazie ai rossi ma soprattutto al Moscato d’Asti, che con una concentrazione al 60% rispetto alle spedizioni globali fa degli Usa la vera casa dell’aromatico dolce piemontese. In termini di esposizione al mercato a stelle e strisce, è però il Trentino-Alto Adige quello con la quota maggiore fra le regioni top exporters: 36,2%, dovuta ovviamente al Pinot grigio, sia trentino che Delle Venezie.
Dati ribaditi anche dalla Cia-Agricoltori Italiani, secondo cui “a dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio export sono i vini bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di 138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290 milioni), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni). Grandi numeri che i dazi possono scombinare lasciando strada libera ai competitor”.
“La storia del legame commerciale tra Italia e Stati Uniti è evoluta nel tempo attraverso i protagonisti del panorama enologico nazionale - ha detto ancora Frescobaldi - dal Lambrusco, al Brunello di Montalcino, dal Verdicchio al Chianti, fino al Pinot grigio e al Prosecco, il vino italiano si è fatto strada grazie a tutti gli ambasciatori dell’eccellenza enoica regionale, rendendo gli Stati Uniti il primo cliente estero dell’intero vigneto Italia, con una quota di mercato media pari al 24%”. Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv, con dazi al 15% anche sul vino il danno stimato per l’intero comparto made in Italy è di circa 317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi. “Mai come oggi il vino è sotto attacco. Dopo l’accordo Ue-Trump sui dazi, l’impatto sarà totalmente svantaggioso per uno dei prodotti simbolo del Made in Italy: ogni bottiglia sullo scaffale in America potrà costare fino al 20% in più”, aggiunge dal canto suo il presidente di Cia-Agricoltori, Cristiano Fini. “L’accordo raggiunto penalizza di fatto solo l’Unione Europea: non si può, dunque, parlare di accordo positivo, essendo questo - di fatto - un accordo unilaterale”, aggiunge Fini. 
Che ricorda come “il comparto del vino non è solo un’eccellenza produttiva, ma un vero motore economico per tutto il settore agricolo nazionale. L’introduzione di nuovi dazi su un mercato chiave come quello degli Stati Uniti avrebbe un impatto diretto soprattutto sulle piccole e medie imprese che hanno investito per anni su qualità, internazionalizzazione e sostenibilità. Ora tutti questi viticoltori rischiano di vedere compromessi i risultati raggiunti”. Per Fini serve un’azione politica forte e unitaria a livello nazionale ed europeo per indennizzare le nostre imprese dei maggiori costi che dovranno essere sostenuti per le esportazioni verso gli Usa. Queste risorse possono essere straordinarie o dovranno essere reperite nell’ordinarietà dei fondi comunitari, non interamente spesi. “Sarebbe un modo - dice Fini - per indennizzare le aziende dell’effetto dumping, che sarà superiore alle attese, considerando l’incremento dei costi lungo la filiera distributiva e la svalutazione del dollaro”.

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