Forse non sfonderanno mai, perché per la maggioranza delle persone l’idea di un bar senza vino, senza birra, che mette al bando qualsiasi bevanda alcolica, è semplicemente inconcepibile. Però, dal Nord al Sud del Belpaese, i “bar bianchi”, locali totalmente “alcol free” cresciuti in maniera esponenziale, fino a diventare veri e propri baluardi di una fruizione del bancone “alternativa”, dove al posto della gradazione vince e comanda la fantasia tra succhi di frutta e cockatil analcolici che mischiano erbe, fiori e spezie dai sapori intriganti e gustosi. Un modo diverso non solo per fare impresa, dando una risposta ai milioni di astemi che popolano l’Italia.
E seppure sembrerà strano, l’Italia è arrivata prima di tutti, e già dall’Inghilterra arrivano le prime imitazioni: a Liverpool, hanno aperto a maggio il primo pub alcol free inaugurato dalla futura regina Kate, mentre a Trento i primi bar bianchi sono nati anni fa per combattere l’alcolismo che, in una Regione come il Trentino, è un vero problema sociale, visto che qui le statistiche dicono che il 26% della popolazione è a rischio: e proprio da qui, dalla provincia di Trento, è arrivato l’input, la decisione di favorire con leggi, sovvenzioni e orari di apertura più lunghi, la nascita di bar alcol free, perché diventassero tendenza, moda, creando un circolo virtuoso tra i teenagers. Perché non bere troppo, bere in modo diverso e senza sballarsi, diventasse qualcosa di positivo, da fare in gruppo, con gli amici. Tra i primi locali della città, il “Barycentro”, che ha sposato la filosofia del bar bianco sette anni fa togliendo alcol ma aggiungendo mille progetti diversi a corollario per attrarre clientela: laboratori di cucito, corsi di cucina, incontri multiculturali, mostre fotografiche serate e culinarie dove cuochi per passione propongono agli invitati le loro migliori specialità. A Modena c’è il bar analcolico “Arcobaleno”, vent’anni e non sentirli, passato attraverso momenti storici, dall’Italia da bere a quella della crisi, sempre con una forte connotazione sociale. Collabora infatti con varie associazioni del territorio per l’animazione del quartiere e con progetti rivolti ai giovani e alle famiglie, tra corsi di ballo e mostre.
E se a Treviso il 99% dei locali e bar vende vino, nel panorama cittadino svetta l’”Indimenticabile”, locale caffè letterario, con tremila libri a disposizione degli avventori, serate di musica e poesia, che ha messo al bando il classico spritz per un più innovativo rucolino, aperitivo di frutta e verdura segnalato persino dal Gambero Rosso, e dove i mancati guadagni alcolici vendono compensanti dall’aumento del caffè, rigorosamente biologico consumato: anche 4 chili al giorno rispetto alla media nazionale di 1,5. Ad Andria, c’è lo storico bar “Oberdan”, uno dei primi a mettere fuori il cartello “qui non si somministrano alcolici”, preferendo concentrarsi su gelateria e pasticceria mentre qualche mese fa ha aperto “Denny’s”, bar pizzeria che non vende alcolici, al massimo una birra per chi viene a mangiarsi una Margherita. Marcello e Riccardo, i gestori, sanno di avere vicino una scuola, e la loro scelta è dovuta anche a questo motivo. Cosi adesso molti giovani si fermano a mangiare spuntini e drink analcolici, rinunciando a qualcosa di più forte. Ma sugli oltre 170.000 bar censiti dalle associazioni di categorie, sconosciuto è il numero quello dei “bar bianchi”, una minoranza, una piccola avanguardia coraggiosa perché è ovvio, senza alcol la clientela è diversa, più presente al mattino mentre alla sera è ancora difficile attrarre pubblico senza un vinello o un aperitivo, spiegano i gestori. Così, a Milano, se negli anni si sono aperti e chiusi diversi bar bianchi, resiste impavido il bar “Lotto”, dalle parti di San Siro che da 2 anni ha deciso di smetterla con l’alcol, “magari gli affari si saranno un po’ ridotti ma ne ho guadagnato in serenità”.
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