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Economia / La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Brindisi in “saldo” o il vino resta in botte. La sfida si gioca sul rapporto qualità-prezzo. Il caso Australia insegna: i canguri battono l’Italia sul fronte dell’export in Usa ... Vendemmia bella e abbondante, ma il mercato? Qui gli aggettivi cambiano segno, domina l’incertezza, il clima è di attesa. Di crisi del nostro vino ormai si parla senza remore: calano i consumi, ristoranti ed enoteche hanno i magazzini pieni, soprattutto perdiamo quote sui mercati esteri (nel 2003 calo del 16% in volume e del 4% in valore). I miti scricchiolano: negli Usa, dopo 30 anni, nei quali avevamo largamente dominato il mercato delle importazioni vinicole americane, finendo nel 2002 col battere i francesi, il Belpaese è stato superato (come quantità) dall'Australia. L'Italia mantiene ancora il primo posto nelle esportazioni in valore, ma il colpaccio dei ‘canguri’ - che attaccano i mercati importanti proponendo bottiglie di chardonnay e cabernet alla Grande distribuzione a prezzi per noi sconvolgenti - ha lasciato il segno. L’Australia in dieci anni ha quasi triplicato la sua superficie vitata. Oggi produce 15 milioni di ettolitri all’anno di cui il 65% esportati. Quattro aziende fanno il 70% dell’imbottigliato. Da un continente all’altro. Il Cile in pochi anni è passato da 4 a 7 milioni di ettolitri. Ne esporta il 60% che diventerà il 75% entro il 2005. Le aziende vinicole cilene sono 96, di cui 80 lavorano solo per l’esportazione.
“Una cosa è certa - dice Giuseppe Martelli, direttore di Assoenologi - fino a ieri era il produttore che indirizzava le scelte, oggi è il mercato sulla base del rapporto qualità/prezzo per i vini di fascia media e qualità/prezzo/immagine per quelli di alto livello”. Del business del settore vitivinicolo italiano (quasi 9 miliardi di euro) un terzo (3 miliardi) è rappresentato dalle esportazioni, che anche nei primi mesi del 2004 segnano il passo: la perdita in valore è sul 6%, in volume siamo sotto del 16%. In questo contesto la flessione dei vini di qualità (soprattutto rossi) rimane sul 20% in valore e sul 10% in volume. Piemonte Veneto e Toscana sono le regioni più penalizzate. Vanno meglio i bianchi da tavola, che costano meno. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. “Non si può sempre crescere - insiste Martelli - soprattutto in un momento di congiuntura difficile come l’attuale. Certo dobbiamo rivedere piani e strategie, gli altri - quelli del Nuovo Mondo - non stanno a guardare”. Poiché i consumi interni difficilmente cresceranno, la partita si giocherà sui mercati esteri dove la concorrenza sarà spietata: “Ce la farà chi, forte di un minimo di massa critica, saprà calibrare il giusto rapporto qualità/prezzo. E chi alla qualità del prodotto saprà affiancare un’adeguata immagine, basata non tanto sul biglietto da visita, ma sulla consistenza dei vigneti e sull’efficienza delle strutture produttive”, conclude Martelli.
Intanto i prezzi delle uve sono, per la prima volta dopo diversi anni, in flessione. Qualcuno parla di “ritorno alla normalità dopo anni di continui incrementi”. Ma c’è chi, come il Consorzio del Chianti classico, fiuta l’aria e taglia del 20% la produzione per non ritrovarsi troppo vino in cantina. E anche il mercato dei terreni ne risente: dopo la corsa pazza dei prezzi dei vigneti, in molte aree vocate ci sono (udite, udite) molte tenute in vendita, persino nella zona di Montalcino. E al Nord si sta fermando la corsa a ristrutturare i vigneti coi fondi comunitari: il Veneto ha prorogato la scadenza delle domande per non perdere i finanziamenti). E molte cantine, dopo anni di continui ritocchi all’insù, hanno tagliato i listini. “Certo, chi aveva approfittato del boom per una politica dei prezzi allegra – dice Riccardo Ricci Curbastro, produttore di ‘bollicine’ in Franciacorta e presidente di Federdoc, l’associazione dei consorzi delle Doc italiane - è rimasto scottato. Noi non abbiamo ridotto i prezzi semplicemente perché non li avevamo mai esasperati. Così teniamo le posizioni, in qualche caso cresciamo, come in Germania. Oggi gli Oscar qualità/prezzo sono i premi più ambiti”.

E c’è chi vede anche i lati positivi della crisi, come il prof. Attilio Scienza. Il noto cattedratico, paladino della riscoperta dei “vitigni antichi”, intervistato da winenews.it, parla di un mondo del vino sempre più simile a un circo Barnum “sempre più regno dell’effimero, ad imitazione pedissequa dell’industria della moda. La comunicazione, soprattutto, segue questa strada sbagliata, incidendo sui costi aziendali in misura sempre maggiore, ma senza portare un ritorno effettivo. Una massa enorme di cene, degustazioni ed eventi da circo, sono soltanto stupidaggini e chiacchiere inutili, oltre che costose e noiose. Sono questi i veri e propri germi di una crisi di credibilità di un settore che è diventato grande grazie alla qualità e alla capacità produttiva”. Bisogna quindi tornare alle radici, alla storia, ai territori “invece di sprecare soldi nella costruzione del brand o nell’inventarsi vini sempre nuovi, slegati dalla tradizione, dalla cultura e dal terroir”. Allora – conclude Scienza – “ ben venga la crisi del mercato, se sarà un’opportunità di rilancio e di ripensamento sugli enormi sprechi di questi anni”.

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