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L'Oscar del vino è rosa. Premiata la Maremma ... «L’Oscar del miglior produttore a una donna, e tutte in rosa le sei nomination…». Gongola, Elisabetta Geppetti. Non è una questione di sciovinismo al femminile. Ma se è vero che la vendetta è un piatto da consumare freddo, ecco, nulla di meglio allora di questo Wine Award che le ha assegnato una testata prestigiosa, una sorta di bibbia europea del vino, Wein Gourmet-Der Feinschmacker. «Eh già - sorride Elisabetta - è più che una rivincita, vent’anni dopo: era il 1985, avevo vent’anni, facevo l’università, e pretesi di andare a magnificare le virtù della Maremma vinicola e del Morellino di Scansano nelle occasioni riservate ai soloni… tutti uomini… mi prendevano in giro, mi facevano capire «ma che vuole questa ragazzina illusa… i fatti però hanno dato ragione me». Già, i fatti. L’attualità. Schloss Bensberg, antico maniero tra Colonia e Dusseldorf: serata stile «notte degli Oscar», presentatore in smoking e tappeto rosso, fiori, atmosfera luccicante.
SI PREMIANO I CAMPIONI del vino d’Europa. E la palma di miglior produttore va a questa signora-fanciulla dalla tempra di ferro e dai modi gentili, mamma di cinque figli e di un’azienda da 60 ettari e 500mila bottiglie con un Morellino che ne assorbe il 70 per cento e un vino di punta, il Saffredi, ricco di storia e di nostalgie personal-familiari, e capace di infiammare di passione anche gli ultimi irriducibili nemici dei supertuscans, perché esempio quasi paradigmatico di come il vitigno internazionale si leghi al territorio. E questo è un Cabernet che nella zona, a Istia d’Ombrone, riesce a toscaneggiare davvero come pochi. «Sì - ammette Elisabetta - che ne vado molto fiera, anche perché il nome mi riporta a mio suocero Fredi, che ora non c’è più, e che già molti anni fa mi introdusse nel mondo nel vino, mi fece conoscere i grandi terroir francesi, Bordeaux e la Borgogna. E io ho dedicato a lui il primo vino che ho fatto da sola». Ricordi che poi lasciano il passo alla passione, alla spinta da manager, non fa mica misteri Elisabetta, il suo modello è Corinne Mentzelopoulos, «anche se solo pensare di paragonarsi a Chateau Margaux dà i brividi e il capogiro…». Ma lei intanto ci prova.
E STUDIA, INVENTA, nel suo regno, un tipico casale maremmano basso, simmetrie rasserenanti in armonia con il paesaggio (le Pupille, già: non sono quelle dei suoi occhi, ma due colline che in Maremma da sempre significano vino, e i cavalli dei butteri…), il silenzio che si respira tra le vigne e i giardini all’italiana. Studia come lanciare ancora l’immagine della Maremma, «è merito nostro se l’abbiamo fatta conoscere, se siamo riusciti a dimostrare anche ai più scettici che qui si possono produrre grandi vini». Anche adesso, in tempi di crisi, la Maremma funziona? Eppure qualche voce maligna dice per esempio che la denominazione Morellino è alla frutta… «Mah, forse perché l’esplosione della moda si sta pian piano ridimensionando, sul mercato c’è meno eccitazione e nelle carte dei ristoranti le presenze si riqualificano… ma ci sono zone come il Montecucco e il Monteregio, per esempio, che sono ancora tutte da scoprire, altro che zona finita…».
Lei , Elisabetta Geppetti, che nel dna vinicolo ha anche le prime vendemmie dell’azienda di famiglia, a Pereta, con un maestro d’eccezione come Giacomo Tachis («ma la mia prima scuola fu la mitica enoteca Nebraska a Viareggio: ci andavo ogni volta che potevo, dal liceo di Pisa, a mangiare prosciutto con Chateau Margaux…»), ha fatto della Maremma e del Morellino la sua filosofia di vita. Riassunta in uno slogan semplice ma impegnativo: tradizione, tipicità, territorialità. «Tre parole scontate solo in apparenza: il vino deve essere legato alla storia degli uomini che vivono qui, dialogare con loro e crescere con loro». Così lancia anche altre idee. Le mostre in cantina, l’ultima, «Anti-Personnel», un vero cazzotto nello stomaco: trai i tini d’acciaio, foto di mine a grandezza naturale scattate come immagini di moda, un glamour sinistro appoggiato sui sacchi di iuta da trincea, «credo che anche questo sia un compito importante, per un imprenditore». E i figli? «Ahi, un cruccio: vorrei esserci molto di più. Ma sono fantastici, loro. Perché sono già tutti presi dall’azienda, partecipano, la sentono parte della vita». Non mente mai, il buon sangue di Maremma. (arretrato del 15 aprile 2006)
Autore: Paolo Pellegrini

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