Nel XIII secolo Tallin era poco più di una fortezza sul Mar Baltico, eretta da Re Valdomaro II a guardia del Regno di Danimarca, ma presto si rivelò porta d’accesso privilegiata verso la Russia, e poco più di un secolo dopo accoglieva già più di 8.000 persone, molte per i canoni dell’epoca, difese da una possente cinta muraria, lunga 2 chilometri lungo i quali si erigono 66 torri, giunta quasi intatta ai giorni nostri, dopo aver attraversato la dominazione del Regno di Svezia, quella della Russia e, dopo la breve parentesi della Repubblica indipendente di Estonia, nata nel 1920, quella dell’Urss, che occupò la città, e l’intera Estonia, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Qui, tra i cunicoli che si articolano nei sotterranei della città vecchia, Gloria Veinikelder (Vineria Gloria) custodisce la cantina più ricca della città: 800 etichette diverse, da ogni angolo del mondo, migliaia di bottiglie, quasi un milione di euro di vino acquistato ogni anno. Briciole? Non proprio, se si pensa che la più piccola delle Repubbliche Baltiche, prima tappa della “Eastern Europe” del Simply Italian Tour 2019 firmato Iem - International Exhibition Management, di scena oggi a Tallin (ed a Varsavia l’8 maggio) importa 76 milioni di euro di vino l’anno, di cui 15,2 milioni dall’Italia.
Che, nella cantina di Marko Hark, padrone di casa alla Gloria Veinikelder, serve in misura “pressoché identica, ai vini di Francia e Spagna , rispecchiando - racconta a WineNews - i rapporti di forza del mondo produttivo. La forza dei vostri vini è la varietà, avete centinaia di vitigni e di vini diversi, che permettono di abbinare qualsiasi tipo di piatto”. Anche, anzi soprattutto, non italiano, perché con l’eccezione di qualche pizzeria per turisti in centro, la ristorazione italiana è pressoché assente, mentre quella estone è stata capace di reinventarsi ed affinarsi, nell’incontro con la Scandinavia e la Russia. Piatti che si accompagnano con tanti vini diversi, “ma quelli che preferiscono i nostri clienti sono principalmente i vini del Sud Italia, a partire dal Primitivo di Puglia, ma anche Aglianico del Vulture e, ovviamente, il Prosecco. I grandi vini come il Barolo, il Barbaresco, il Brunello di Montalcino o i Super Tuscany, che non mancano mai nella nostra carta, sono invece legati alle occasioni speciali, non sono vini per tutti i giorni”.
Ma, forse, l’abitudine alla qualità arriverà nei prossimi anni, perché l’economia cresce ad una media del 2-3%, la disoccupazione è sotto il 5% e a Tallin il salario medio sfiora i duemila euro. Abbastanza, nonostante le dimensioni mignon del mercato (1,3 milioni di abitanti), per convincere sempre più produttori a puntarci, magari come porta d’accesso, già amatissima dalle masse di turisti cinesi che ogni giorno invadono la città vecchia di Tallin, a Lettonia e Lituania, che insieme sfiorano i 5 milioni di abitanti. “Per noi i Paesi Baltici sono tutti da scoprire, vengono spesso raccontati come un mercato quasi unico, molto simile, di certo la crescita economica che stanno vivendo li accomuna e li rende interessanti”, spiega Niccolò Petrilli, sales manager di Colle Manora, nel Monferrato. “La vicinanza con Russia, Finlandia e Polonia fa dell’Estonia un Paese abituato più che altro ai superalcolici, su tutti la Vodka, ma il vino sta guadagnando terreno, sicuramente ci troveremo di fronte a qualche difficoltà, legata principalmente al prezzo, come in ogni Paese emergente: saranno i vini con il miglior rapporto qualità/prezzo ad aprire la strada agli altri, ma c’è bisogno dello sforzo e del supporto istituzionale, come della stampa specializzata e dei Consorzi”, conclude Petrilli.
Che sia un Paese ancora tutto da scoprire ed alla ricerca della propria dimensione, lo raccontano gli stessi importatori, ma è difficile separare questa sorta di “immaturità enoica” dai tanti e rapidi mutamenti vissuti dall’Estonia, tornata indipendente solo nel 1991, nell’Unione Europea dal 2004 e nella moneta unica nel 2011, aspetti che in poco più di due decenni hanno rivoluzionato il volto del mercato, troppo spesso, ancora oggi, in balia delle divergenze tra Bruxelles e Mosca. Ma in cui c’è spazio per tutti. Andre Peremees importa con Vabrik 600.000 bottiglie l’anno, di cui quasi la metà dall’Italia, “con il Prosecco numero uno assoluto, che qui commercializzo con una mia etichetta, così da poter tenere basso il prezzo d’acquisto”. Mentre tra i rossi vanno forte “Chianti Classico e Valpolicella, ma in futuro sono convinto che il consumatore estone virerà verso la finezza, e quindi preferirà vini come quelli prodotti nel Collio, o sull’Etna, il Nerello Mascalese è una sorta di Pinot Nero. L’Italia vanta una qualità incredibile, e la bellezza delle etichette è una leva da non sottovalutare”.
Ma c’è anche spazio per chi, come Andres Aavik di Polarest, ha deciso di puntare su “piccoli produttori, dal Piemonte, Barbera e Barbaresco su tutti, alla Toscana, dal Vino Nobile di Montepulciano al Brunello di Montalcino, ma c’è ancora tanto da scoprire, a prescindere dalla leva del prezzo, l’aspetto più importante è la qualità”.
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