L’Italia del vino, e non solo, cresce in Cina, ma ancora c’è tanto da lavorare per affermare in maniera diffusa la cultura del life style made in Italya. È la Ferrari (18%) il prodotto/brand di gran lunga più conosciuto dall’upper-class cinese, seguito da pasta (10%), Gucci (9%), Barolo e Fiat al 5%, e Armani al 4%. Ma quasi 7 intervistati delle metropoli cinesi non sono in grado di citare alcun simbolo del made in Italy tra cibo, vino, moda, arredo e auto. Lo rivela un estratto dell’indagine dell’Osservatorio Paesi terzi di Business Strategies sul posizionamento del made in Italy in Cina condotta da Nomisma Wine Monitor su un campione di 2.000 cittadini dal reddito medio-alto residenti a Pechino, Shanghai, Canton e Hong Kong.
“Un gap di conoscenza - secondo l’indagine “Percezione e posizionamento del made in Italy in Cina” - cui fanno da contraltare le intenzioni di acquisto dichiarate dai consumatori, che prevedono un aumento della spesa nei prossimi 2-3 anni di prodotti italiani in particolare per cibo, vino e moda”.
In generale la curiosità verso “nuovi prodotti italiani a oggi non disponibili” è alta, soprattutto per il cibo (51%) e la moda (45%), seguiti da vino e arredo (29%) e l’auto (17%). Tra i brand più ambiti, l’unico marchio che si distingue in doppia cifra è ancora quello del cavallino di Maranello (24%) in un panel di risposte in cui emerge tutta la non conoscenza dei marchi del Belpaese.
Nel vino, in particolare, il 69% degli intervistati non riesce ad indicare nessun marchio, il 5% dice Barolo, il 4% “vino straniero”, il 3% Amarone, il 2% Chianti e Piemonte.
“La missione in Cina del Ministro Di Maio di questi giorni - ha detto la Ceo di Business Strategies, Silvana Ballotta - riporta l’attenzione sulla necessità di ancorare la promozione e la conoscenza del made in Italy su fatti concreti e non su annunci fine a se stessi. Il peso dell’Italia sul totale delle importazioni cinesi è ancora minimo: con un valore di 18 miliardi di euro, il made in Italy vale, infatti, solo l’1% del totale delle importazioni cinesi e occupa il 22esimo posto nella classifica dei Paesi fornitori. Una quota di mercato che si abbassa ancora di più se si considera il solo import agroalimentare, allo 0,5%, che riesce a far sembrare gigantesca pure la “nanoshare” del nostro mercato vinicolo, attorno al 6%. C’è spazio e c’è voglia di made in Italy - ha concluso - i consumatori sono curiosi, ma per tradurre questo gap in potenziale dobbiamo imparare a raccontarci a partire dal prodotto”.
Nell’analisi sulla percezione tra Italia, Giappone, Usa e Francia, l’aggettivo/immagine riservato al Belpaese è quello della passione, mentre il Giappone si distingue per cultura/tradizione, qualità, salute/benessere e risparmio. In generale l’affermazione dell’unicità dello charme francese è evidente e si evidenzia nell’estetica/bellezza, stile/eleganza e status symbol/lusso. Agli Stati Uniti viene associata l’immagine di creatività e dell’innovazione.
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