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VINO E SCIENZA

Fieragricola 2022: tra “Malattie dell’Esca” e Flavescenza Dorata, la salute del “vigneto Italia”

La ricerca, la stima dei costi e le possibili contromisure su patologie che minacciano costantemente la vigna. E la redditività delle aziende

Sono indubbiamente le “malattie” della vite più temibili perché non esistono rimedi efficaci. Il “Complesso delle malattie dell’esca”, in continua e rapida avanzata, e la Flavescenza Dorata, che ritorna come emergenza nel Nord-Est italiano, sono vere e proprie calamità che mettono a repentaglio la vita delle piante, quindi la sopravvivenza stessa del vigneto e la sua sostenibilità economica. I più recenti risultati della ricerca sul “Complesso delle malattie dell’esca”, che consentono di rendere più efficaci le azioni di prevenzione di questa temibile e purtroppo diffusa malattia, sono stati presentati a Fieragricola (Veronafiere, 2-5 marzo), in un convegno organizzato da Unione Italiana Vini (Uiv) che, nel 2019, ha avviato il progetto “Ricerca Mal dell’Esca”, in collaborazione con Laura Mugnai dell’Università di Firenze e con Stefano Di Marco dell’Istituto di BioEconomia (Ibe) del Cnr di Bologna, per verificare diffusione e gravità della malattia nelle principali aree viticole italiane, grazie a un monitoraggio su numerosi vigneti e all’adesione volontaria di numerose aziende.
Proprio i due ricercatori sono i firmatari di una ricerca durata ben 9 anni - la più estesa temporalmente mai realizzata sull’esca - pubblicata sul numero del 28 gennaio 2022 di “Frontiers in Microbiology”, rivista scientifica leader nel campo della microbiologia. Il lavoro, illustrato da Fabio Osti dell’Ibe-Cner, è incentrato sull’attività di ceppi di differenti specie di un microganismo - il Trichoderma - per la difesa dal Complesso delle Malattie dell’Esca - che apre nuove prospettive. Prospettive buone se la protezione dei tagli operati sulle viti in potatura, o accidentalmente da fenomeni diversi come la grandine, vengono protetti subito con irrorazioni del microorganismo. Il Trichoderma colonizza i tagli e impedisce così l’ingresso dei patogeni agenti dell’Esca. La raccomandazione è quella di intervenire fin dal primo anno di impianto e tempestivamente, abbinando pratiche agronomiche corrette e accorgimenti per evitare di diffondere i patogeni (potatura separata delle viti infette; disinfezione degli strumenti, allontanamento e bruciatura dei sarmenti di potatura, ecc.). Diversamente la diffusione nel vigneto è veloce quanto subdola, perché i sintomi si manifestano a seconda delle condizioni ambientali e non sempre sulle stesse viti. Ecco perché per avere il polso della reale incidenza cumulata della malattia è necessario segnare le piante sintomatiche.
“Il complesso dell’esca - ha sottolineato Fabio Osti - è in espansione, complice il crescente commercio di materiale vegetale e la suscettibilità particolare di diverse varietà, come il Cabernet. Così come a peggiorarne l’incidenza, oltre alle tecniche di potatura poco attente che permettono l’ingresso dei patogeni nella pianta, contribuiscono le condizioni estreme provocate sulle viti dal cambiamento climatico. Le applicazioni del formulato a base di Trichoderma in ogni stagione hanno evidenziato un significativo ritardo della comparsa dei primi sintomi fogliari della malattia, fino a 3-4 anni, rispetto alle piante non trattate. Inoltre, la percentuale di piante sintomatiche nelle parcelle trattate è stata inferiore, nella maggior parte dei casi in modo significativo, rispetto alla parte di vigneto non sottoposto a intervento. Un altro risultato interessante è stato ottenuto sulla gravità del sintomo fogliare dimostrando una correlazione tra incidenza e gravità di questo con le perdite quantitative e qualitative della produzione. Una riduzione dell’espressione sintomatologica della malattia sulla foglia è dunque un risultato rilevante a prescindere dal fatto che la pianta sia infetta”. Se non bastassero incremento rapido della malattia e morte delle viti il Complesso dell’esca provoca anche una caduta della qualità dell’uva prodotta dalle piante malate, che aggiunge un ulteriore danno economico. La maturazione è anomala e la composizione dei mosti alterata per acidità e zuccheri e il contenuto di antociani si riduce penalizzando in particolare le uve rosse.
“Stando al monitoraggio nazionale il Complesso dell’Esca interessa il 4,8% delle viti - quantifica Giovanni Bigot, agronomo di Perleuve, che ha elaborato la app “4grapes” con cui vengono effettuati i rilievi delle piante malate in vigneto - si tratta della media di un campione di 5.000 rilievi effettuati, ma chiaramente ci sono alcuni vitigni con sensibilità più elevata di altri. Moltiplicando questi numeri - spiega Bigot - si può ottenere una stima del danno economico. Il costo dell’estirpazione di una vite malata, dell’acquisto della barbatella per la sua sostituzione, del suo reimpianto, dei costi di coltivazione e della mancata produzione per almeno tre anni, se va tutto bene, ha un impatto economico di 25 euro. Considerando una percentuale del 5% all’anno di piante sintomatiche e una densità di 4.000 ceppi ad ettaro, è necessario estirpare e rimpiazzare 200 ceppi all’anno per un danno di 5.000 euro all’anno per ettaro. Cifra da sostenere per mantenere la redditività del vigneto”.
I dati presentati da Alberto Grasso, agronomo dell’Azienda Agricola Mirafiore di Fontanafredda, hanno evidenziato come le ore di lavoro annue necessarie per la sostituzione delle fallanze in un vigneto di Nebbiolo, e quindi tutti gli altri costi connessi, siano passate dalla media di 5 ad ettaro nel periodo 2000-2008 a ben 34 nel 2020. Ciò riduce talmente tanto gli utili da mettere in dubbio l’economicità del vigneto stesso nel caso si venda l’uva e di vederla ridotta drasticamente se si chiude la filiera vinificando. Nel primo caso a partire dal 14esimo anno di vita delle piante i ricavi pareggiano i costi. Inoltre, nel caso di varietà sensibili alla Flavescenza dorata, come la Barbera, la sostituzione delle piante colpite da Esca diventa economicamente inutile in quanto già prima dell’8° anno di vita del vigneto l’utile di coltivazione cala drasticamente. E parliamo di uve e di vini a denominazione e di buona quotazione mercantile. “Purtroppo estirpare, capitozzare tutte le piante malate durante la stagione non sempre è possibile - continua Bigot. L’uva di queste piante ha caratteristiche di maturità tecnologica e fenolica diverse e inferiori in funzione dell’intensità dei sintomi. Le prospettive di risoluzione della malattia non ci sono ancora, ma dopo 9 anni di prove ci sono dei risultati scientifici positivi. Bisogna fare un plauso a chi le ha portate avanti e ha investito già 10 anni fa sulla strada dell’utilizzo di microorganismi di cui scientificamente è stata dimostrata l’efficacia nella riduzione dei sintomi. I microrganismi sono una nostra speranza per il futuro. Ovviamente il viticoltore deve al contempo mettere in atto buone pratiche agronomiche, mantenere il vigneto in equilibrio e aumentarne la biodiversità”.

Anche la Flavescenza Dorata non lascia scampo: le piante malate devono essere estirpate il più presto possibile. La sopravvivenza del vigneto stesso è a rischio. E quello che più dispiace nel caso di questa malattia, causata da un fitoplasma il cui vettore è una cicalina - lo Scaphoideus titanus che si alimenta anche sulla vite - è che si tratta di uno sgradito ritorno. Un film - brutto - che i viticoltori non avrebbero più voluto vedere e che oggi torna a interessare il Nord est e non solo. A fotografare la situazione a Fieragricola 2022 è stato Nicola Mori dell’Università di Padova in un approfondimento, organizzato dal settimanale L’Informatore Agrario: “in Veneto - ha illustrato Mori - le zone di diffusione moderata sono piuttosto ampie e ce ne sono diverse in cui la diffusione è considerata “epidemica”, come le aree delle denominazioni a cavallo tra Verona e Vicenza, tra cui la doc Soave, e più a est quella del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore. L’incremento dell’incidenza della malattia riguarda anche la provincia di Bolzano arrivata (al 9,1 % nel 2021 contro il 4,1% del triennio precedente), e quella di Trento dove ampie sono le zone dichiarate “focolaio”. In Friuli Venezia Giulia nel 2019 l’incremento dei sintomi è stato importante soprattutto sullo Chardonnay e i Pinot, seguite da Verduzzo friulano, Merlot, Ribolla Gialla e Cabernet, fino a casi inaspettati anche su Tocai Friulano, varietà ritenuta in assoluto la meno sensibile tra quelle coltivate in Friuli Venezia Giulia. E l’espansione ha toccato pesantemente anche le province di Modena e Reggio Emilia, in particolare sui Lambruschi e su Pignoletto”.
A raccontare a Winenews le cause della recrudescenza di Flavescenza Dorata, Gabriele Posenato, entomologo, agronomo e viticoltore, che per primo negli anni 90 ha segnalato lo Scaphoideus titanus quale il vettore di Flavescenza Dorata. “Non ci sono più gli insetticidi di una volta”, scherza Posenato, che ha vissuto tutta la storia della prima ondata della malattia, riferendosi all’unica arma possibile che è la lotta all’insetto vettore. “E neppure i viticoltori di una volta: la sottovalutazione dei sintomi - aggiunge - non perdona. È una malattia veloce e bisogna essere più veloci di lei nel prendere le decisioni. Appena si vedono i sintomi bisogna espiantare le viti e non c’è altra strada. La combinazione di diversi fattori ne ha determinato il ritorno. È cambiato il clima e probabilmente anche il fitoplasma stesso. Lo Scafoideo ha mutato il suo comportamento: l’adulto è molto più longevo e depone più uova. Si è scoperto che l’adulto in 7-10 giorni acquisisce e trasmette il fitoplasma, e ciò vuol dire che in un vigneto con molti individui di Scafoideo e anche poche viti malate, in un tempo breve, gli adulti passando dalle viti infette a quale sane possono trasmettere la malattia a un numero di piante impressionante. L’indicazione attuale è quella di una lotta insetticida serrata al vettore con almeno due trattamenti e poi una grande attenzione all’estirpo delle viti. L’incidenza della malattia è variabile. In Veneto è più presente nelle zone in cui storicamente si è manifestata nella prima ondata, come il trevigiano e il Veronese in un’area precisa del Soave, la Val d’Alpone dove la malattia è stata segnalata negli anni 90. In questi anni lo Scafoideo era sostanzialmente scomparso. Gli insetticidi hanno adottato molecole più “green” e la difesa si è orientata su trattamenti contro le tignole senza efficacia sulle cicaline. Quindi l’insetto ha trovato nuovo spazio, ha ricostituito le sue popolazioni e, ritrovando alcune viti infette “residuali” in vigneti condotti alla meno peggio, ha ricominciato il giro”.

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