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Finanza & Mercati

La corrida della botte. Il guru americano Robert Parker disegna il futuro: vini di alta qualità da Bulgaria e Giappone. India e Libano gli emergenti. Il Mezzogiorno in pole, mentre Parigi cede il passo. Ma il primato italiano e francese sarà messo seriamente in discussione dalla Spagna … “Robert Parker? Uno scopritore di acqua calda”. Non usa mezzi termini Enzo Vizzari, il direttore de La Guida dell’Espresso, quando lo si interroga sul decalogo del guru americano del vino. Che dalle pagine del “Wine Advocate” ha disegnato, in una manciata di sintetiche massime, il futuro dell’enologia. Nei prossimi dieci anni dovremo dire addio al sughero ma in compenso internet contribuirà alla democratizzazione delle conoscenze sul nettare degli dei. E assisteremo all’avanzata dei produttori emergenti nel comparto dei vini di qualità. Ma non solo gli ossi duri di California, Cile, Sudafrica e Australia, persino Bulgaria, Romania, Russia, Messico, Cina, Giappone, Turchia, Libano e India. Mentre dall’Italia è in arrivo la carica dei vini del Sud, sempre più raffinati e riconosciuti come tali nel panorama locale e internazionale. “Sono fenomeni in atto da tempo e noti a tutti - continua Vizzari - Ora che Parker li sintetizza nero su bianco sembrano assumere dignità diversa. Ma c’è davvero bisogno che sia un americano a dirci che Campania, Sicilia e Puglia hanno fatto passi da giganti?”. No, forse non ce n’è bisogno. E non è necessario neppure fare allarmismi. Anche se incalzati dagli emergenti, i grandi vini classici, francesi e italiani, non potranno scomparire. “E’ vero che i vini americani e australiani ora sono tecnicamente perfetti - dice Vizzari - Ma gli manca il legame con il terrori, l’identità che è ciò che fa davvero la differenza”. Eppure Parker, nel suo decalogo, menziona un ridimensionamento della Francia e il fallimento di molte aziende “Dipenderà solo dal calo dei consumi - dice Daniele Cernilli, condirettore del Gambero Rosso - che poi si deve inserire nella crisi generale dell’economia”. Il vino, infatti è un indicatore della salute della congiuntura. “Se pensiamo a tutte le crisi strutturali, da quella petrolifera del 1973 a quella iniziata nel 2001, tutte hanno coinciso con un calo verticale dei consumi di vino”. E ora che cosa sta accadendo? “Siamo in una fase di polarizzazione del mercato - dice ancora il condirettore del Gambero Rosso - I vini di lusso rappresenteranno a breve solo il 5% del totale, sufficiente a coprire la domanda dei 50 milioni di ricchi che abitano il pianeta. Ben il 95% dei mercato, anche con l’ingresso dei consumatori emergenti, sarà fatto di vino quotidiano, vino commodity”. E come si colloca in questo panorama l’Italia? La situazione è complessa. L’Italia produce 50 milioni di ettolitri all’anno (solo la Francia sa fare meglio) di cui appena il 20% ha una denominazione di origine controllata e meno della metà è commercializzato in confezioni. “Inoltre a controllare i 700mila ettari di vigneti c’è un milione e quattrocentomila viticoltori. Così i primi dieci produttori controllano il 12% del mercato. Mentre i primi sette australiani hanno una quota dell’85%” dice Cernilli. Numeri che testimoniano nel nostro Paese una produzione ancora altamente artigianale. “la verità è che ci troviamo davanti le falangi macedoni e gi andiamo incontro in ordine sparso” - aggiunge Cernilli. L’Australia ha in progetto di diventare il più grande produttore di vino al mondo entro il 2025 e ci riuscirà”. Merito anche delle leggi molto più morbide che vigono in quel mercato: “In Italia esistono una serie infinita di vincoli su coltivazioni, metodologie di irrigazione, produzione in cantina - conclude Cernilli - Limiti che alzano i costi e ci obbligano a puntare sulla qualità, se vogliamo davvero avere un ruolo”. Senza rischiare di diventare prede delle multinazionali, un pericolo che corrono soprattutto le cantine più grandi, come la siciliana Settesoli o la veneta Zonin. “In Italia è molto difficile una concentrazione dell’industria - spiega Gianni Zonin, presidente della cantina vicentina - Mentre è altamente probabile che le aziende più grandi vengano inglobate dai colossi internazionali”. In cima alla lista dei possibili predatori c’è Constellation Brand, il colosso americano del vino quotato a Wall Street. E A sferrare duri colpi alla competitività italiana c’è anche la vicina Spagna. Lo ha scritto Parker e lo conferma Zonin: “La Spagna sta riorganizzando la sua struttura enologica, ed è il più grande vigneto del mondo: ha 1,2 milioni di ettari, quasi il doppio dell’Italia. Sarà Madrid la nostra più temibile concorrente”. Entro il 2015, secondo le previsioni di Parker, le regioni più quotate saranno Torno, Jumila e Priorat. “Su Priorat non sono d’accordo - ribatte Cernilli - è una zona troppo piccola per poter giocare un ruolo”. Perché nel futuro la qualità dovrà accompagnarsi alla quantità. “Il Bordeaux e l’esempio perfetto del vino immortale - continua il direttore del Gambero Rosso - E Parker ha ragione quando sostiene che una cassa del vino francese passerà agevolmente dai 4mila ai 10 mila dollari”. I nuovi ricchi faranno lievitare la domanda. “Già oggi un bordeaux di Chateaux Lafite costa 300 euro - continua - E la ragione è che per una produzione annua di 540 mila bottiglie la domanda è di 6 milioni di pezzi”. (arretrato di "Finanza & Mercati" del 20 agosto 2005)

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