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Finanza & Mercati

L’Italia guida la corsa ai vini Doc. Purtroppo… Altre due denominazioni di origine protetta sono recentemente entrate nell’abnorme registro della Commissione Ue. Sono entrambe italiane: l’olio extravergine di oliva Tuscia e il Basilico Genovese. Una goccia nel mare dei 700 prodotti agricoli già riconosciuti come degni di protezione. In Italia sono 151 a fregiarsi del marchio dop o igtp. Per non parlare dei vini, che arrivano a quota 450. Na è davvero un vanto? Non la pensa così Bruno Paillard, il fondatore della più giovane azienda produttrice di champagne, nonché presidente del Comitè Interprofessionel du vin de Champagne. “L’area francese dello Champagne ha un’estensione di 33mila ettari divisi tra 15mila produttori – ha detto Paillard a margine dell’Aglianica Wine Festival – eppure il nostro vino ha una sola denominazione. Ed è questa la nostra forza”. Il caso del vino in effetti è esemplare. Nell’indice di settore elaborato da Mediobanca sono presenti 48 titoli di 12 Paesi, che valgono 14 miliardi di euro: le tre principali, ovvero le australiane Foster e Southcorp e la statunitense Constellation Brands pesano per circa il 70% e capitalizzano almeno un miliardo a testa. Le italiane sono del tutto escluse: nessuna è quotata in Borsa. Nessuna di fatto ha la dimensione sufficiente a sbarcare sul listino. “La corsa al dop – continua Paillard – rischia di aumentare i campanilismi, polverizzando ancora di più il tessuto produttivo”. Con danni enormi. Un campanello d’allarme è già il contenuto del trattato commerciale siglato nei giorni scorsi tra Ue e Stati Uniti. Gli States si sono impegnati a non appropriarsi indiscriminatamente di 17 doc europee (tra cui le uniche italiane sono il Chianti e il Marsala). “In cambio – spiega Paillard – l’Ue riconosce tutte le pratiche enologiche statunitensi, senza limitazioni”. Noi, intanto, continuiamo a registrare anche i fili d’erba.


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