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Finanza & Mercati

A spasso nella giungla di sigle e denominazioni ... Le persone competenti nel settore enologico ricevono frequentemente domande sui vini migliori da degustare e da acquistare ai prezzi più equilibrati. Un atteggiamento che potrebbe quasi essere definito uno sport nazionale non c’è manifestazione o incontro mondano durante cui gli ospiti non vengano presi dal raptus di “scroccare” decine di informazioni. E’ la stessa cosa che capita ai medici, che però si difendono dall’assalto convocando i curiosi in studio e difendendosi con le parcelle (salate). Al vero intenditore di vini resta il piacere di fornire indicazioni per una convivialità migliore, con la soddisfazione di aver offerto un po’ più di conoscenza e qualche momento gradevole. Quando le curiosità diventano sciocche e assurde, l’esperto si vendica con un pizzico di perversione per vedere le facce smarrite dall’ignoranza.
Una domanda che ricorre frequentemente è quella relativa alla Doc dei vini: l’opinione che ha la stragrande maggioranza dei curiosi è che Docg equivalga a ottimo, Doc a buono e poi … il niente. Quando si danno informazioni sulle 31 Docg e sugli attuali vini Doc in Italia (che sono più di 300 e sono in aumento) gli sguardi di chi ascolta esprimono incredulità. Nel nostro Paese ci sono circa 350 vini prodotti in territori ben determinati e altrettanti vitigni autoctoni (un vero record) con l’aggiunta di quelli internazionali. Cifre che fanno strabuzzare gli occhi agli interlocutori che rimangono quasi sempre interdetti e solitamente rispondono con dichiarazioni di incredulità. E invece ormai da quarant’anni, è entrata in vigore la legge delle Doc, che ha lo scopo di regolamentare la produzione e soprattutto di tutelare il consumatore. Per i più questa rimane materia sconosciuta. Se poi a questo si aggiunge che oltre ai vini Doc e Docg ci sono anche quelli Igt (Indicazione geografica tipica) e i più comuni VdT (Vini da Tavola) il consumatore si sente veramente smarrito. L’unico modo per andare in suo aiuto è spiegargli che questo è stato deciso dal legislatore per il suo interesse.
Purtroppo con scarso successo, perché rimane lo sconcerto dovuto all’abbondanza di tutela che alla fine tende a confondere più che a informare. La classificazione porterebbe a pensare che anche i prezzi seguano la stessa graduatoria. E invece non è così perchè spesso i produttori scelgono per i loro vini migliori le denominazioni delle fasce più basse applicando però prezzi di tutto rispetto. Un esempio è il grande bianco friulano Vintage Tunina dei vignaioli Jermann, uno dei vini più riconosciuti in ambito nazionale e non solo: bene, questo vino ha scelto di essere un Igt Venezia Giulia per poter attingere alle migliori uve anche fuori dalla sua zona d’origine. E il suo essere Igt non comporta nessuna svalutazione, poiché da anni la sua qualità e costante e sicura. Fra i rossi, anche il famoso Tignanello dei Marchesi Antinori è un Igt Toscana, poiché le sue uve sono sangiovese, cabernet franc e cabernet sauvignon, fuori quindi dalle regole imposte dalla Docg del Chianti.
Quale è allora la validità delle Docg e delle Doc? Nelle intenzioni sarebbero utili a qualificare economicamente i vini che vi appartengono, in effetti servono spesso (troppo spesso) ad agevolare la disinvoltura di commercianti che puntano solo al fatturato. Il vasto panorama delle denominazioni conferma che l’aumento incondizionato delle Doc si è rivelato sterile e non offre vere certezze ai consumatori. I quali, nella migliore delle ipotesi, non conoscono più di una manciata di vini Doc, e con fatica il 2% di Docg. Una miseria in tanta confusione (arretrato del 20 maggio 2006).
Autore: Toni Cuman

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