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Finanza & Mercati

Riscoperta La moda dei rosati ... La bollicina rosé vince il processo di riabilitazione. Dal trento Brut ai Franciacorta, fino allo Champagne, i vini rosati tornano di moda. Fascino dell’esclusivo, alto prezzo e citazioni in film di successo sono le carte vincenti di questo ritorno alla grande. Per decenni in Italia i rosati non sono stati apprezzati e nemmeno consumati. Perché? Perché venivano considerati né carne né pesce, con un’ironia a buon mercato a cui un noto (e arguto) produttore salentino era solito ribattere che, dunque, saranno stati “frutti di mare”. A farli cadere nell’oblio sono stati, in realtà, ristoratori poco corretti e costi sproporzionati. Soprattutto negli anni ’60 e ’70, quando l’ignoranza in materia era grande e l’abitudine (pessima) di servire il vino sfuso la faceva da padrona. Allora, la richiesta di rosato veniva esaudita con un rimedio fatto in casa (o dietro il banco) miscelando il vino bianco e rosso. Se poi veniva ordinato il Chiaretto, bastava aumentare la percentuale di bianco: pratica furbesca applicata anche da commercianti che “aggiustavano” le damigiane il giorno prima della consegna.
Il risultato organolettico di questa sbrigativa miscela era ben distante dal piacere di una buona bevuta: troppo evidenti erano le disarmonie gustative, l’inesistenza di profumi e di aromi. Per i rosati, il processo di vinificazione è tra i più complessi, delicati e precisi che si possono scovare: per ottenere il massimo della qualità, bisogna far fermentare il mosto fiore (cioè il succo d’uva ottenuto dalla pigiatura soffice delle uve) che deve essere separato dalle bucce nel momento preciso in cui assume la colorazione desiderata. Solo tra gli spumanti classici si ricorre all’aggiunta di una percentuale di vino rosso (il “liquore di spedizione) in base al bianco: ma le bollicine stazionano dai quattro ai sei mesi nelle cantine prima di essere consumate e hanno il tempo di uniformarsi per sviluppare sapore e profumi. Leggermente diverso è il procedimento per il tipo Charmat, nel quale bianco e rosso si amalgamano durante la spumantizzazione. Tutte le Regioni italiane trovano nelle Doc la possibilità di produrre vini rosati, ma quelle che hanno sempre mantenuto una produzione costante sono l’area del Garda con il Chiaretto di Moniga e il Bardolino, il Trentino Alto Adige con i rosati da uve Schiava o Lagrain, l’Abruzzo con il Montepulciano Cerasuolo e la Puglia, col Castel del Monte e le fantastiche espressioni del Salento. Le prime avvisaglie di un felice ritorno sul mercato sono iniziate già nel 2003: quell’anno al Vinitaly di aprile le caratteristiche di questo vino venivano rivalutate con la giusta insistenza.
Tanto che pochi mesi dopo, a dicembre, le bottiglie che ancora stazionarono negli scaffali delle enoteche sparirono in un battibaleno. Un buon contributo ai rosati è stato dato dai sommelier che, accanto agli abbinamenti tradizionali con zuppa di pesce e grigliata di mare hanno proposto accostamenti con piatti che ricevono equilibrio e gradimento da un vino così: si pensi alla frittura mista o alla pasta al pomodoro coi frutti di mare. Addirittura esaltante è il matrimonio tra spumanti rosati e pesce affumicato (salmone, soprattutto) mentre, per gli amanti dell’aperitivo di gran classe, vale la pensa sperimentare il Bellini col Rosé anziché col classico spumante bianco. (arretrato del 24 giugno 2006)
Autore: Toni Cuman

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