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Finanza & Mercati

Il buon vino nasce in vigna. Forse ...  Gustare un bicchiere di vino è solo la parte finale di un percorso pieno di speranze, ostacoli, ottimismo, desideri ma anche di delusioni tenute nascoste. In cuor loro, vignaioli e industriali nascondono le avversità e non ammettono mai i danni del clima alle loro vigne: se inconvenienti ci sono stati, stranamente appartengono ai vigneti del vicino. Nell’arco di un decennio sono due, al massimo tre, le vendemmie perfette. Nelle altre annate si combatte per il troppo sole o per le abbondanti piogge e per le muffe.
A conferma di ciò, basta chiedere ad alcuni vignaioli come andrà o come è andata la loro vendemmia per ricevere una risposta uniforme dalle Alpi a Pantelleria: sono stati tutti fortunati anche se hanno ottenuto meno prodotto. Se qualche intoppo c’è stato, è capitato ad altri. Questi altri, a loro volta interpellati, dichiarano una produzione ridotta, ma con eccellente risultato qualitativo. Insomma, vendemmie mediocri non ce ne sono mai e, a ben sentire, non ce ne saranno più. Tutte le faticose fasi per arrivare alla vendemmia (potature ben fatte durante l’inverno, equilibrate concimazioni in primavera, potature verdi e diradamenti delle foglie, diserbamenti, trattamenti antiparissiti e antimuffe se necessari) si spalmano in tanti mesi di lavoro, per arrivare a ottenere un risultato ottimale dopo l’estate: a fine agosto la vendemmia nelle isole è quasi finita mentre bisogna aspettare ottobre per raccogliere le uve rosse nel Nord.
La vendemmia insomma per il vignaiolo è una lotteria, anzi una lotta, attesa con trepidazione, speranza e rabbia se il clima non risponde alle aspettative. Ma come deve essere allora questo clima? Tutto e il contrario di tutto: caldo e freddo, con decisi sbalzi termici tra giorno e notte; asciutto e piovoso quanto basta. Le positività vengono diffuse soprattutto dagli enologi, che sanno comunque come aggiustare in cantina eventuali danni meteorologici.
L’interesse per il vino è un atteggiamento nazionale, confermato dalle continue indicazioni che vengono date da tutti i telegiornali di tv pubbliche e private. Assoenologi e associazioni dei produttori dichiarano serenamente che le piogge non hanno creato grandi problemi alle uve. La grandine ha colpito zone circoscritte, i danni non sono ampi e gli smottamenti sono stati minimi, ma se si controllano le aree colpite dalle intemperie, emergono veri disastri.
Ma poi chi va a controllarle? Altre dichiarazioni sostengono che la siccità ha accelerato il tempo della vendemmia, o che sole e vento dell’ultimo mese hanno risanato le uve e quindi i vini saranno più alcolici dell’anno precedente. Nel caso che il maltempo sia stato più che evidente, ecco che si proclama l’equilibrio nella struttura alcolica, ovvero una corposità idonea per il consumo immediato. Se le uve bianche hanno sofferto gli eccessi di pioggia, gonfiandosi e “rischiando” attacchi di botrytis, le uve rosse magicamente godranno degli sbalzi termici e daranno eccellenti risultati per vini da lungo invecchiamento. Anno dopo anno, da tre lustri ormai, le notizie sul comparto enologico sono sempre queste. Da tutta la comunicazione comunque emerge che gli enotecnici saneranno in cantina le eventuali malefatte meteorologiche, rendendo poco veritiero il detto “il vino buono nasce in vigna”, perché ormai la tecnica e la professionalità di cantinieri e winemaker sanno come sostituirsi a Giove Pluvio e al solleone. Facendo un paragone, l’industria olearia ha troppe infiltrazioni di prodotto di scarsa qualità che arriva dall’estero, l’industria casearia fatica non poco a equilibrare i prezzi: solo nell’industria vinicola, insomma, si vive ottimisticamente e festosamente. Di tre comparti agricoli, si potrebbe dire, solo il vino non soffre mai. Basti pensare a quante sono le feste per la raccolta delle olive o a quante quelle per la mungitura delle vacche. Nel mondo enologico si fanno numerosissime fiere e sagre per la vendemmia, si festeggia l’uscita del vino nuovo dalle cantine, si organizzano eventi per diffondere le Doc e si sviluppano tutte le attività legate all’enoturismo (quest’anno sono previste quasi 5 milioni di presenze nelle varie zone di produzione). Niente male se si pensa che solo 20 anni fa questo settore non esisteva e che la sua crescita viaggia al ritmo di quasi 8 miliardi di euro di fatturato annui (con un’ulteriore quota attorno al miliardo che sfugge ai controlli fiscali). Nel primo semestre 2006 l’Italia è tornata al primo posto delle importazioni negli Stati Uniti, ma chi importa più vino italiano è la Germania con mediamente 12 milioni di ettolitri; promettenti per un ulteriore sviluppo sono le richieste dei Paesi dell’Est Europa e dell’Estremo Oriente. Sono tutti da ti più che positivi, idonei a sopperire al continuo calo del consumo interno pro capite che oggi è inferiore ai 50 litri annui.
(arretrato di Finanza & Mercati del 16 settembre 2006)

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