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Finanza&mercati

L’era del Sagrantino bianco battezzata dalla Madonnina ... Il nuovo vitigno, creato insieme all’Università di Milano, può lanciare in orbita il prodotto di Montefalco. Ma Marco Caprai denuncia la mancanza di figure professionali adeguate. E chiama in causa l’ateneo perugino... Un successo dopo l’altro, ma anche una scommessa dopo l’altra. Marco Caprai, l’uomo che ha fatto conoscere il Sagrantino umbro nel mondo, non si accontenta e ora si aprono per lui, imprenditore vitivinicolo di Montefalco (un paesino in provincia di Perugia e a ridosso di Foligno), due nuovi e intriganti scenari.
Pochi giorni fa il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, lo ha nominato componente del Consiglio d’amministrazione di Buonitalia, una società legata al ministero delle Politiche agricole per promuovere il settore agroalimentare italiano nel mondo. Una soddisfazione personale, frutto di un lavoro e di una ricerca costanti. E questo proprio nel momento in cui Caprai stava conducendo in porto un’impresa che inseguiva da anni (ed è questo il secondo intrigante scenario): la creazione del Sagrantino bianco. Una scommessa. Tant’è vero che l’imprenditore tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre ha dato il via alla prima vendemmia sperimentale - su dieci ettari della tenuta Arnaldo Caprai - in collaborazione con l’Università di Milano. Si tratta, per ora, di una sperimentazione che potrebbe però portare a una commercializzazione internazionale nel giro di qualche anno. “Il Sagrantino bianco non è un semplice clone - spiega Caprai - ma si tratta di una vite con gli acini bianchi che ha le stesse caratteristiche genetiche del Sagrantino rosso”. Quindi l’aspettativa è di un bianco nobile, corposo che potrebbe guadagnarsi un posto particolare, di elevata dignità, nel panorama vinicolo mondiale.
“La tecnica adottata per creare questo vitigno è stata quella dell’autofecondazione che consente - afferma Caprai - di avere linee pure di uno stesso vitigno”. La filosofia dell’azienda Arnaldo Caprai (il nome del patriarca dell’azienda), del resto, è sempre stata quella della filiera completa: dalla terra al vitigno, alla vendemmia, alla lavorazione, all’imbottigliamento, fino al bicchiere servito sulla tavola imbandita. Il fenomeno del Sagrantino umbro è poi una sorta di miracolo. Un vino, conosciuto fino agli anni Novanta, soltanto nella regione umbra - che è riuscito a sfondare e a farsi conoscere in tutto il mondo, grazie alla professionalità e all’intraprendenza di alcuni imprenditori.
Alcuni dati possono essere utili per comprendere la realtà di un fenomeno produttivo che ha pochi precedenti: in provincia di Perugia sono ben 700 gli ettari coltivati a Sagrantino, 400 quelli dedicati al vitigno Montefalco e 200 coltivati a Grechetto, un bianco della zona di Todi che sta emergendo proprio in questi anni e che si sta affermando grazie a un proprio carattere particolare, sobrio e nello stesso tempo robusto. Non solo, il vino, come si sa, ottiene sempre ricadute positive sulla borsa commerciale del turismo. Ed ecco che la zona di Montefalco, grazie proprio al Sagrantino, è passata da una ricettività di 200 posti letto del 1998 ai 2mila attuali, cioè è decuplicata in soli otto anni. Marco Caprai lancia però l’allarme: una situazione in crescita esponenziale rischia di implodere se non viene supportata da uomini e strutture. “Mancano figure professionali - afferma l’imprenditore - e allora occorre dedicarsi a curare un know-how in grado di sfruttare queste grandi occasioni”.
C’è bisogno, afferma in sostanza Caprai, di enologi, agronomi e anche di semplici cantinieri. “È indispensabile creare – prosegue - corsi ad hoc a livello di scuola superiore e di Università perché non serve offrire soltanto il prodotto. È necessario imporsi come centro di eccellenza di produzione. In sostanza è indispensabile favorire la produzione e promuovere la qualità, la ricerca e una formazione professionale specifica. Il mercato internazionale richiede un salto di qualità a tutti i livelli e dobbiamo giungere puntuali a questo appuntamento”. Il Sagrantino bianco rappresenta perciò un ulteriore passo in avanti verso una sempre maggiore internazionalizzazione del vino italiano. La collaborazione concreta con l’Università di Milano nella creazione del nuovo vitigno può essere un segnale che altri centri di produzione eccellenti possono raccogliere e fare proprio. Il rammarico dell’imprenditore Caprai è rivolto verso l’Università della sua regione con cui il dialogo si è inspiegabilmente interrotto. “Si vede che a Perugia - afferma con una vena polemica - preferiscono la birra”.

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