02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Finanza&mercati

Quel vino calabro si beve con grande civiltà ... I Librandi di Cirò riportano in auge vitigni quasi dimenticati come il Magno Megonio espressione dell’antico patrimonio regionale... A testimoniare l’importanza della civiltà della vite e del vino in Calabria ci sono centinaia di palmenti sparsi per tutta la regione, o meglio sparsi per tutte le zone a vocazione vitivinicola. Si tratta di vasche scavate nella roccia arenaria utilizzate anticamente per la pigiatura e la sgrondatura dell’uva. Benché costruiti in epoche diverse (dalla Magna Grecia fino al Medioevo) tutti i palmenti sembrano essere stati studiati con lo stesso sistema. sono costituiti da due vasche, una superiore e una inferiore collegate da un foro che, durante la vendemmia veniva chiuso con l’argilla. La vasca superiore più grande si riempiva d’uva che veniva pigiata e rimaneva qualche tempo in macerazione. Poi si apriva il foro, dove si poneva un filtro costituito da foglie, e iniziava la fase di sgrondatura.
Tutto questo patrimonio sarebbe rimasto pressoché sconosciuto se non fosse stato per due studiosi, Orlando Sculli e Maria Zanoni che hanno riportato alla luce e censito queste costruzioni che raccontano molto dell’importanza attribuita alla produzione e al commercio del vino in Calabria, dall’arrivo dei primi coloni greci fino ai monaci bizantini, passando per gli antichi romani. Interessante è notare che in epoca antica la pigiatura avveniva direttamente in prossimità delle vigne e di una strada. Perché? Perché così l’uva poteva essere pigiata appena raccolta e il mosto trasportato appena prodotto. Uno dei palmenti più antichi è stato trovato all’entrata di una tenuta dell’azienda Librandi di Cirò, la tenuta «Rosaneti» dove questi storici produttori hanno allestito un campo sperimentale di ricerca sui vitigni autoctoni calabresi. Quasi un simbolo, questo antico palmento, dimostrazione che questa zona era ritenuta d’eccellenza dai padri dell’enologia calabrese. A distanza di duemila anni dalla sua costruzione, qui si continua a coltivare la vite e a produrre vino anche se questo è diventato soprattutto un laboratorio di raccolta, di riscoperta e di valorizzazione dell’antico patrimonio calabrese in campo enologico.
Impresa, questa, in cui i Librandi si cimentano dal 1993 riportando in auge vitigni quasi dimenticati come il Magliocco, il Gaglioppo, il Greco Bianco, il Mantonica e l’Arvino e che continua oggi con la collaborazione dell’enologo Donato Lanati per valorizzare un patrimonio ancora in gran parte inespresso. Nella tenuta di Rosaneti si racconta davvero la storia della Calabria del vino, col palmento all’entrata e coi campi sperimentali con al centro una perfetta vigna a spirale dove sono stati raccolti i 156 cloni di vitigni autoctoni calabresi, molti introdotti dagli antichi greci che avevano individuato nell’Italia meridionale un terreno privilegiato. Non a caso i Librandi sono tra i «responsabili» del crescente apprezzamento del pubblico nei confronti dei vini del sud: un esempio è il Magno Megonio, vino dedicato al centurione romano che, primo fra tutti lasciò testimonianza scritta sulla grandezza della coltivazione della vite in Calabria. È prodotto con uve Magliocco in purezza: un vitigno di notevoli potenzialità, ma che in passato fu abbandonato a favore del più produttivo Gaglioppo. Il risultato è un vino di grandissima struttura e persistenza nato da una sorta di connubio tra l’antico vitigno e la concezione moderna di vinificazione di qualità. Concetto, questo, che dovrebbe essere tenuto nella giusta considerazione dalla viticoltura calabrese che non sa ancora del tutto valorizzare il patrimonio naturale di cui è stata dotata.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su