Tra le domande più ricorrenti che un consumatore attento alla salute si pone ci rientra sicuramente quella dell’eventuale presenza di pesticidi in un prodotto. Ma quanto questo rischio è concreto e possiamo ritenerci al sicuro? Una risposta interessante arriva grazie a Legambiente con la nuova edizione del dossier “Stop pesticidi nel piatto”, in collaborazione con Alce Nero. Il dossier, presentato a Roma (3 dicembre) è ormai un punto di riferimento fondamentale per comprendere l’impatto delle sostanze chimiche di sintesi sugli alimenti, attraverso un’analisi dei dati forniti dalle Regioni e da enti specializzati, arricchita da contributi scientifici di esperti impegnati nella tutela della biodiversità e nella riduzione dell’impatto ambientale. Nell’edizione 2024 su 5.233 campioni di alimenti analizzati, provenienti sia da agricoltura convenzionale che biologica, emerge una percentuale di irregolarità pari all’1,3%. Una cifra definita “contenuta, ma non di certo rassicurante. Il 41,3% dei campioni, infatti, presenta tracce di uno o più residui di fitofarmaci. Di questi, il 14,9% è classificato come monoresiduo, mentre il 26,3% rientra nella categoria multiresiduo, sollevando preoccupazioni significative. Infatti, la presenza di molteplici residui in un unico alimento può generare effetti additivi e sinergici, con potenziali danni per la salute umana”. Tra gli alimenti citati più colpiti “spicca la frutta, con il 74,1% di campioni contaminati da uno o più residui. Seguono la verdura (34,4%) e i prodotti trasformati (29,6%), con i peperoni (59,5%), seguiti da cereali integrali (57,1%) e dal vino (46,2%). L’uso di insetticidi e fungicidi, come Acetamiprid, Boscalid, Fludioxonil e Imazalil, resta prevalente, evidenziando quanto la protezione delle colture sia ancora fortemente legata a sostanze chimiche di sintesi”. Alcuni ritrovamenti risultano emblematici: un campione di peperoncini ha mostrato la presenza di ben 18 residui diversi, mentre in due campioni di pesche sono stati rilevati rispettivamente 13 e 8 residui.
I segnali che fanno ben sperare comunque ci sono. Nel settore dei prodotti trasformati, l’olio extravergine di oliva spicca con altissime percentuali di campioni privi di residui, a conferma della sua eccellenza e del rigore produttivo che caratterizza questa filiera. Anche il vino mostra un trend in positivo: oltre la metà dei campioni analizzati è risultato privo di residui, segnando un miglioramento rispetto al 48,8% dell’anno precedente. Riguardo proprio al vino, “sono stati analizzati 228 campioni forniti da Arpa, Izs, Usl e Ats. Tra questi - si legge nel dossier - si registra un miglioramento rispetto al 48,87% del 2022, con il 53,07% dei campioni senza residui. Tuttavia, la percentuale di campioni con uno o più residui rimane significativa, attestandosi al 46,93%. Anche nei vini, le sostanze attive più frequentemente rilevate sono Dimethomorph (38,57%), Boscalid (17,14%) e Metalaxyl (14,28%), evidenziando una certa uniformità nella distribuzione di questi residui”. Piccoli, ma importanti passi in avanti verso una maggiore sostenibilità e qualità.
Nonostante ciò, il deterioramento registrato nel comparto della frutta nel 2023 racconta un’altra storia. Le condizioni climatiche, segnate da piogge abbondanti e temperature miti, hanno favorito la proliferazione di micopatologie, costringendo gli agricoltori a un uso massiccio di anticrittogamici per salvare i raccolti. Altro dato allarmante citato è quello sui sequestri dei pesticidi illegali, con quasi raddoppiati nel 2023 i pesticidi illegali sequestrati in Europa.
“Il quadro che emerge dai dati è preoccupante - ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente Legambiente - ma allo stesso tempo rappresenta un’opportunità per riconsiderare il nostro modello agricolo. La mancata adozione sia del Regolamento europeo sull’uso sostenibile dei fitofarmaci (Sur) che di un nuovo Piano di Azione Nazionale (Pan), fermo alla versione del 2014, è un freno inaccettabile per il processo di transizione verso un’agricoltura più sicura e sostenibile. È altresì urgente introdurre una norma che regolamenti il multiresiduo per limitare l’accumulo di più pesticidi in un singolo prodotto alimentare, con il rischio di effetti dannosi per la salute umana. Anche il Piano Strategico Nazionale (Psn) per l’attuazione della Pac, pur presentando alcuni segnali positivi, non sta ancora offrendo i risultati sperati. A quasi un anno dalla sua implementazione, emergono, infatti, difficoltà che ne rallentano l’efficacia, soprattutto rispetto alla diminuzione degli impatti di agricoltura e zootecnia intensive. Sono comunque apprezzabili i passi verso pratiche agricole sostenibili, a partire dall’introduzione degli ecoschemi per la protezione degli impollinatori e gli investimenti nel biologico, fondamentali per aumentare la Superficie Agricola Utilizzata (Sau) e incentivare la nascita di biodistretti. Tuttavia, è necessario fare di più, soprattutto per supportare le piccole e medie imprese agricole, garantire un accesso equo alle risorse e promuovere un uso intelligente dei fondi europei, per favorire la transizione verso una produzione alimentare sempre più sana, sostenibile e decarbonizzata”.
Angelo Gentili, responsabile Agricoltura di Legambiente e uno dei curatori del dossier, ha aggiunto che “una delle risposte all’allarme relativo all’uso dei fitofarmaci e alla necessità di ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura è sicuramente l’agricoltura biologica, che rappresenta un modello virtuoso di transizione ecologica per le filiere produttive. Basti pensare che i residui nei prodotti biologici sono pochissimi (7% dei campioni analizzati) e dovuti presumibilmente alla contaminazione accidentale. L’Italia continua a essere un leader europeo con 2,5 milioni di ettari coltivati a biologico, pari al 19,8% della Superficie Agricola Utilizzata (Sau). Tuttavia, per incentivare una crescita maggiore di questo settore e colmare il divario tra domanda e offerta, è fondamentale introdurre strumenti che facilitino i consumatori (bonus per le categorie più fragili, mense bio in ospedali, scuole e università) e riducano i costi per i produttori, a partire dalla certificazione, favorendo l’accesso a pratiche agricole sostenibili. Oltre a questo, l’altra proposta cruciale riguarda l’approvazione di una legge contro le agromafie, che costituiscono una minaccia diretta alla legalità e alla sicurezza delle filiere agroalimentari, alimentando fenomeni come l’utilizzo di pesticidi illegali, il caporalato e i reati ambientali. La protezione del lavoro agricolo e la tutela dell’ambiente devono essere una priorità per costruire un futuro più sano, sostenibile e giusto”.
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