L’emergenza globale causata dal Covid ha fatto emergere una consapevolezza diffusa sul valore strategico del cibo e sulle necessarie garanzie di qualità, sicurezza, disponibilità ma anche le fragilità presenti per garantire l’approvvigionamento delle popolazioni in un momento di grandi tensioni internazionali, anche negli scambi commerciali. E a pesare sulla produzione di cibo e la sovranità alimentare è un oligopolio di un gruppo di multinazionali che controlla due semi su tre (66%) e ne gestisce la distribuzione, il prezzo, l’utilizzo e la conservazione. Emerge dallo studio “Il mercato degli input e dei servizi all’agricoltura”, promosso dalla Fondazione Divulga, che evidenzia forti limiti nel grado di libertà e concorrenza in un settore che è diventato centrale per garantire gli approvvigionamenti alimentari in tempo di pandemia.
Il quadro che emerge, sottolinea la Fondazione Divulga, non solo conferma il preoccupante e crescente livello di concentrazione di alcuni grandi segmenti di mercato, ma spinge anche a riflettere sulle conseguenze dei processi di integrazione che con sempre maggiore intensità si stanno consumando all’interno dell’area delle forniture all’agricoltura.
Per valutare la situazione nei singoli settori si fa riferimento a un parametro chiamato CR4 che indica il peso dei primi quattro protagonisti di un comparto: con un valore inferiore al 40% i mercati sono considerati competitivi, con un CR4 tra il 40% e il 60% sono considerati moderatamente concentrati, superiore al 60% sono ritenuti altamente concentrati ed è intuitivo che a livelli di concentrazione più elevati corrispondono rischi più alti di funzionamento oligopolistico dei mercati.
Il mercato mondiale dei semi, spiega la Fondazione Divulga, ha raggiunto un CR4 stimato attorno al 66% che in alcuni specifici ambiti raggiunge punte molto elevate, come nel caso degli ortaggi, e a preoccupare è anche il CR2 (quota di mercato dei primi due player), che nel caso dei semi per pomodori, supera il 65%. Bayer, ChemChina e Corteva coprono una quota pari a circa il 50% per gli agro-farmaci e una quota di poco superiore per le sementi. Risulta evidente che la combinazione di fette di mercato su semi e materiale genetico da un lato e trattamenti dall’altro favorisce linee chiuse di fornitura che tendono a coprire quanta più parte del ciclo di vita del prodotto. Questo offre alle multinazionali l’opportunità di rafforzare la dimensione verticale della propria presenza sul mercato e, sottolinea Divulga, molte delle fusioni e acquisizioni degli ultimi anni sono state realizzate in questa direzione. La recente operazione Bayer-Monsanto per circa 70 miliardi di dollari, con il clamore dei nomi e delle cifre coinvolte nell’affare, ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica su un mercato che però presenta anomalie in quasi tutti i suoi segmenti. Negli anni Settanta l’industria delle sementi era caratterizzata da molte piccole aziende, alcune anche a conduzione familiare, ma poi, continua Divulga, la protezione della proprietà intellettuale ha spinto gli investimenti in ricerca e sviluppo e promosso dimensioni più ampie delle compagnie. I principali produttori di chimica per l’agricoltura hanno iniziato ad investire in questo settore attraverso operazioni di acquisizione e fusione che hanno poi facilitato il processo di standardizzazione dei semi in base ai corrispondenti trattamenti chimici.
L’ultima serie di aggregazioni ha messo in campo cifre da capogiro e alcune di queste operazioni sono a pieno titolo rientrate tra le più importanti degli ultimi vent’anni, come la nascita di Corteva Agriscience, una fusione del valore di oltre 130 miliardi di dollari, che ha unito due giganti come Dow e Dupont, le acquisizione delle azioni Monsanto da parte di Bayer per un valore di poco inferiore ai 50 miliardi di dollari e l’acquisizione di Syngenta per 43 miliardi da parte di ChemChina, che segue altre operazioni portate avanti dal colosso cinese, come quella con l’israeliana Adama.
Gli ultimi 20 anni hanno visto cambiamenti profondi nell’assetto del mercato dei prodotti e dei servizi all’agricoltura e come mai nella storia, sottolinea il report, i grandi gruppi della chimica, dei macchinari e dei servizi digitali sono stati protagonisti di operazioni di “accorpamento” multinazionale che hanno accresciuto le barriere all’ingresso sul mercato di nuovi operatori e ristretto le possibilità di cambiare operatori e fornitori da parte delle aziende agricole e degli Stati. In Italia la rete dei Consorzi agrari con la società Cai (Consorzi Agrari d’Italia) è l’unico polo di riferimento per centinaia di migliaia di aziende diffuse capillarmente su quasi tutto il territorio, comprese le aree più difficili, a sostegno dello sviluppo e della competitività dell’agricoltura italiana, di fronte al crescente strapotere delle multinazionali nel mercato dei mezzi tecnici oltre che su mercati sensibili come quelli delle sementi.
Il progetto Cai con Bonifiche Ferraresi sostenuto dalla Coldiretti punta a creare un’unica centrale di acquisto per tagliare i costi aziendali e per aggredire i mercati con le vendite online e attraverso i nuovi canali. Se le economie di scala permetteranno risparmi alle imprese l’aggregazione consente l’avvio di progetti strategici nel campo dell’agricoltura di precisione e della valorizzazione dei big data. Infatti la crescita del settore, afferma la Fondazione Divulga, sta portando anche all’incremento dei processi di raccolta dei dati sui clienti, sui prodotti acquistati, sulle condizioni agro ecologiche dei territori e, in conclusione, sui punti di forza e di debolezza delle singole aziende e delle aree regionali e nazionali in cui operano. Ma se da una parte si tratta di un’opportunità per rispondere meglio alle esigenze degli agricoltori, dall’altra, conclude la Fondazione Divulga, la concentrazione in poche mani dei fattori di produzione, dalle sementi ai big data, è un rischio perché espone le economie nazionali al potenziale assalto degli speculatori e alle tensioni internazionali sull’accesso al cibo.
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