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FOOD: “ARCHEOLOGIA DEI SAPORI”, COME SI MANGIAVA 3.500 ANNI FA

Come si mangiava in un villaggio modenese di 3.500 anni fa? Che sapore avevano i cibi? E come fanno oggi i botanici ad esaminare semi, frutti e pollini per ricavare informazioni sull’ambiente e l’alimentazione dell’età del bronzo? Darà una risposta a queste domande l’iniziativa “Archeologia dei sapori”, di scena il 18 ottobre al Parco della Terramara di Montale per la Giornata mondiale dell’alimentazione. L’iniziativa è in collaborazione con il Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell’Orto Botanico dell’Università di Modena.

In ogni settore del parco saranno presi in esame gli “indicatori archeologici” dell’alimentazione nei villaggi delle terramare: nell’area di scavo, per esempio, si parlerà di resti faunistici, mentre nelle case ricostruite saranno mostrati attrezzi agricoli e vasellame da cucina. Ma il vero “piatto forte” della giornata sarà la dimostrazione sulle tecniche utilizzate dai botanici per esaminare semi, frutti e pollini recuperati negli scavi archeologici e ricavare informazioni sull’ambiente e l’alimentazione.

Non mancheranno assaggi di antichi sapori, in collaborazione con la cooperativa “Conservo”, la semina “in diretta” nelle parcelle dedicate alle colture sperimentali e un laboratorio per i bambini dal titolo “Archeobotanici … in erba!”, che consiste nel setacciare la terra, raccogliere, contare e identificare i semi delle piante coltivate 3.500 anni fa.

Capire in che modo si procuravano e preparavano il cibo i nostri antenati non è un’impresa impossibile. Gli enormi progressi fatti negli ultimi anni da discipline come la paleobotanica e l’archeozoologia hanno dilatato enormemente le possibilità di indagine in questo campo.

Oggi, attraverso l’analisi di pollini, semi e frutti rinvenuti negli scavi archeologici, si sa che il paesaggio attorno alle terramare era occupato da ampie zone disboscate destinate a pascolo o alla coltivazione dei cereali, soprattutto grano e orzo, ma anche avena e segale, mentre negli orti nelle immediate vicinanze del villaggio si coltivavano diverse varietà di legumi, come favino, lenticchie, piselli, cicerchia. Oltre ai cereali, con cui si preparavano presumibilmente zuppe e focacce, la dieta degli abitanti delle terramare era integrata da latticini e carni, soprattutto di pecora, maiale e in misura minore di bovino, arrostite sulle braci dei focolari, lessate o anche cotte nei forni. Verdura e frutta derivavano da quanto la natura offriva spontaneamente: mele e pere selvatiche, prugnoli, sorbo, sambuco e soprattutto cornioli da cui probabilmente gli abitanti delle terramare ricavavano una bevanda fermentata prima di cominciare ad apprezzare il vino.

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