Il tempo che non basta mai, neanche per fare la spesa, la possibilità di provare tante cucine differenti senza spostarsi da casa, la convenienza economica grazie a sconti, promozioni via app e così via: sono tanti gli ingredienti del successo del “food delivery”, a punto che il fatturato 2019, secondo le stime sfiorerà i 600 milioni di euro, il 56% in più del 2018. A confermare la passione degli italiani per il cibo a domicilio sono i dati dell’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano e di Netcomm, il Consorzio del Commercio Elettronico Italiano. Un vero e proprio boom di un servizio presente nel 93% delle città con oltre 50.000 abitanti che continua a fare breccia negli italiani. E con un potenziale ancora enorme, visto che il tasso di penetrazione sul comparto ristorazione, è ancora molto basso, intorno allo 0,8%.
E se in questi primi 15 anni di vita del “food delivery”, spiega l’Osservatiorio, l’attenzione e l’innovazione da parte dei player del settore si è focalizzata alle fasi di vendita, dallo sviluppo di canali di vendita online e di piattaforme aggregatici sempre più user-friendly a servizi di intelligence e di conoscenza del cliente finale, ma anche a quelle di delivery, dalle consegne veloci, puntuali e flessibili a sistemi autonomi e sostenibili, nei prossimi anni, la sfida riguarderà la fase produttiva.
“Sono diverse infatti le sperimentazioni a livello mondiale e interessano sia i ristoranti tradizionali sia le “dot com”, ossia i player nati per vendere online. Possiamo sintetizzare queste innovazioni in due fenomeni, così definiti in gergo tecnico: i “Virtual Restaurants” e le “Dark Kitchens””.
I “Virtual Restaurants”, in particolare, sono ristoranti dedicati al canale online. Nascono così nuovi brand non presenti nel mondo fisico, pensati appositamente per l’eCommerce, con un menù studiato appositamente per soddisfare le esigenze dei web shopper e per affrontare le sfide dell’home delivery, ossia trasportabilità e adeguata conservazione della temperatura e della qualità.
L’altro fenomeno è quello delle” Dark Kitchens” (o “Ghost Restaurants”), ossia l’utilizzo di cucine chiuse al mondo retail e dedicate alla produzione di piatti pronti venduti esclusivamente online.
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