Nel 2023 gli italiani hanno speso 500 milioni di euro in prodotti contenenti almeno un ingrediente Fairtrade, il marchio che certifica il rispetto dei diritti dei produttori e lavoratori in molte zone del mondo e più in generale i criteri del commercio equo e solidale. Il dato è stato diffuso da Fairtrade Italia in occasione dell’evento “Trent’anni sulla rotta della sostenibilità”, durante il quale è stato presentato anche il bilancio sociale dell’organizzazione. In Italia il prodotto Fairtrade più venduto sono le banane, che si confermano al primo posto con 14.300 tonnellate (+8%), seguite da cacao, zucchero e caffè. Grazie agli acquisti fatti in Italia, agricoltori e lavoratori di tutto il mondo aderenti al network hanno ricevuto 3.686.407 euro in Premio Fairtrade: si tratta di una somma aggiuntiva da investire per migliorare la produzione o per contribuire allo sviluppo della comunità. Ma a due condizioni: la decisione su come spendere il denaro deve essere presa di concerto con i membri della cooperative e l’interesse deve essere comune. Possono essere spesi per esempio per acquistare prodotti per l’agricoltura e strumenti per il lavoro nei campi oppure per costruire piccole infrastrutture come magazzini, ambulatori sanitari o aule scolastiche.
Fairtrade è un movimento internazionale per la sostenibilità ed i diritti umani e ambientali. Mettendo il suo marchio su prodotti selezionati come caffè, cacao, banane, ananas o tè coltivati, l’organizzazione assicura ricavi alle aziende che ci hanno lavorato: il sistema permette di migliorare la qualità di vita degli agricoltori in Asia, Africa e America Latina. Il movimento rappresenta 1,9 milioni di lavoratori in 75 Paesi, e sugli scaffali di negozi e supermercati del mondo sono in vendita più di 30.000 prodotti marchiati Fairtrade. Dal 1994 l’organizzazione ha una sezione anche in Italia, che lavora in partnership con le aziende locali supportandole nell’approvvigionamento di materie prime certificate e nel consolidamento delle filiere.
“Sono moltissimi i risultati che abbiamo raggiunto in questi 30 anni - ha detto il direttore generale Fairtrade Italia Paolo Pastore - nei negozi e nei supermercati del nostro Paese ci sono più di 2.500 prodotti Fairtrade in vendita. Anche le organizzazioni di agricoltori sono cresciute con noi: quasi 2 milioni di agricoltori e lavoratori beneficiano dei vantaggi del nostro circuito in 70 Paesi. Grazie a tutte le aziende e ai consumatori che con noi vogliono essere parte del cambiamento, puntiamo a raggiungere ancora più persone nei prossimi anni”.
Il prodotto marchiato Fairtrade più venduto in Italia? Le banane, che si confermano al primo posto con 14.300 tonnellate (+8%) commercializzate sia grazie alla grande distribuzione (principalmente Aldi, Coop, Gruppo Selex, IN’s, Pam Panorama), sia per merito delle mense scolastiche. Seguono in classifica - anche se tutti con flessioni più o meno marcate - il cacao, lo zucchero di canna e il caffè.
“Il 2023 dal punto di vista delle vendite è stato un anno di transizione, da un lato alcuni prodotti come caffè e zucchero hanno risentito dei cali generalizzati dei volumi dovuti all’inflazione, dall’altro prodotti come ad esempio le banane hanno registrato una crescita importante - Thomas Zulian, direttore commerciale di Fairtrade Italia - complessivamente siamo soddisfatti perché nel corso del 2023 abbiamo visto aumentare sia il numero di aziende con cui collaboriamo, sia la quantità di referenze certificate sul mercato. Gli effetti positivi di questi due fattori si stanno già palesando nei buoni risultati dei primi mesi del 2024”.
Durante l’evento è intervenuta anche Carla Maria Gulotta, docente di Diritto Internazionale all’Università degli Studi Milano Bicocca, che ha raccontato come le nuove norme europee vadano incontro al commercio equo-solidale, rispondendo a diritti e attese dei consumatori. Ha spiegato infatti come la direttiva contro la deforestazione obblighi le aziende a verificare che le materie prime che acquistano non provengano da aree che sono state deforestate e che la direttiva sulla “Corporate social due diligence” obbliga ad assicurare che nelle proprie filiere di approvvigionamento non vi siano state violazioni dei diritti umani.
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