Roma, fino a qualche decennio fa, era letteralmente circondata dai vigneti, quelli dei Castelli, che per secoli hanno sopperito alle necessità dell’Urbe, dai tempi dell’Impero Romano fino al Medioevo, fino alla metà del Novecento, quando le campagne si sono spopolate anno dopo anno, abbandonando il patrimonio vitivinicolo della Capitale a se stesso. Oggi, l’unica Docg di Roma e del Lazio è il Cesanese del Piglio, il vitigno autoctono più antico e conosciuto del territorio, le cui origini risalgono proprio ai romani, amato dagli Imperatori e dai Papi che avevano la corte papale ad Anagni, protagonista di “L’Arte da bere - le Dimore del vino”, progetto di valorizzazione turistica che, in sinergia con l’Università La Sapienza, porterà il vino in due delle dimore più belle del territorio: il Castello Colonna di Piglio e il Palazzo Doria Pamphilj di Valmontone, con l’obiettivo di dare vita a nuove narrazioni trasversali che, accanto e assieme al vino, raccontino - con la voce, tra gli altri, del winemaker Roberto Cipresso - con eventi culturali e artistici anche la storia dei grandi mecenati (la Famiglia Colonna e il Principe Camillo Pamphilj) e dei grandi pittori legati a quelle dimore (su tutti Mattia Preti, nel Seicento), pensando anche a dialoghi a distanza con la pittura contemporanea, rappresentata ad esempio da Piero Ricci a Piglio.
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