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PROTESTA

I prezzi delle materie prime corrono, eD i margini di agricoltori e allevatori si assottigliano

La Coldiretti scende in piazza e scrive al premier Draghi: “regna incertezza, accelerare su fondi agricoltura del Pnrr”. L’impatto rincari su filiera
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La protesta di Coldiretti a Roma

Con l’esplosione dei costi energetici quasi un agricoltore italiano su tre (30%) è oggi costretto a ridurre la produzione di cibo, con una situazione insostenibile che mette a rischio le forniture alimentari e, con esse, la sovranità alimentare del Paese. Emerge da un’indagine Coldiretti/Ixè comunicata nel giorno della protesta degli agricoltori e degli allevatori, scesi nelle piazze delle città italiane - da Milano a Roma, da Firenze a Palermo - per chiedere al Governo Draghi, attraverso una lettera aperta, interventi immediati per l’agroalimentare made in Italy e difendere l’economia, il lavoro ed il territorio, contro speculazioni e rincari.

I rincari dell’energia - sottolinea la Coldiretti - stanno avendo un impatto devastante sulla filiera, dal campo alla tavola, in un momento in cui con la pandemia da Covid si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e aumenti dei prezzi di beni essenziali che deve spingere il Paese a difendere la propria sovranità alimentare. Il taglio dei raccolti causato dall’incremento dei costi di produzione - sottolinea Coldiretti - rischia, infatti, di aumentare la dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti agroalimentari, con l’Italia che è già obbligata ad importare il 64% del grano per il pane (il 44% di quello necessario per la pasta), ma anche il 16% del latte consumato, il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale, senza dimenticare il mais e la soia fondamentali per l’alimentazione degli animali e per le grandi produzioni di formaggi e salumi Dop, dove con le produzioni nazionali si riesce attualmente a coprire rispettivamente il 53% e il 73% del fabbisogno, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga.

Se i prezzi per le famiglie corrono, i compensi riconosciuti agli agricoltori e agli allevatori - denuncia Coldiretti - non riescono, neanche a coprire i costi di produzione con il balzo dei beni energetici che si trasferisce infatti a valanga sui bilanci delle imprese agricole costrette a vendere sottocosto anche per effetto di pratiche sleali che scaricano sull’anello più debole della filiera gli oneri delle promozioni commerciali. Per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari freschi e trasformati, appena 15 centesimi vanno in media agli agricoltori, ma se si considerano i soli prodotti trasformati la remunerazione nelle campagne scende addirittura a 6 centesimi, secondo un’analisi Coldiretti su dati Ismea. Un doloroso paradosso per chi sino ad oggi non ha mai smesso di lavorare durante la pandemia. Il latte, ad esempio, viene pagato agli allevatori appena 38 centesimi al litro, mentre un coltivatore di pomodoro da industria per la passata si vede corrispondere addirittura 10 centesimi al chilo, secondo l’analisi Coldiretti. Non va meglio per chi produce grano per il pane, pagato 31 centesimi al chilo, né per le arance, dove il prezzo in campagna è di 43 centesimi al chilo, che scendono a 18 centesimi al chilo nel caso delle carote.

Con l’avvio delle operazioni colturali gli agricoltori - spiega la Coldiretti - sono costretti ad affrontare rincari dei prezzi fino al 50% per il gasolio necessario per le attività che comprendono l’estirpatura, la rullatura, la semina e la concimazione. Inoltre, l’impennata del costo del gas, utilizzato nel processo di produzione dei fertilizzanti, ha fatto schizzare verso l’alto i prezzi dei concimi, con l’urea passata da 350 euro a 850 euro a tonnellata (+143%). Per non parlare dell’emergenza siccità, che costringerà quest’anno ad aumentare il ricorso all’irrigazione con i costi energetici alle stelle.

Il risultato è che quest’anno produrre cereali, come ad esempio il grano, costa agli agricoltori italiani 400 euro ad ettaro in più, mentre per i produttori di olio extravergine d’oliva e di vino i costi medi di produzione sono aumentati del 12%. Ma il boom dei costi energetici riguarda anche il riscaldamento delle serre per piante e fiori, con rincari del 30% e i vivai che sono oggi costretti a produrre praticamente in perdita. Nel giro di un anno la bolletta mensile di un’azienda florovivaistica media è passata, infatti, da 1.700 euro a 6.100 euro, e ad aumentare sono pure i costi per la pesca, con la flotta nazionale costretta rimanere in banchina. Più in generale il rincaro dell’energia - continua la Coldiretti - si abbatte poi sui costi di produzione come quello per gli imballaggi, dalla plastica per i vasetti dei fiori all’acciaio per i barattoli, dal vetro al legno per i pallet da trasporti e alla carta per le etichette dei prodotti, che incidono su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per olio, succhi e passate, alle retine per gli agrumi ai barattoli smaltati per i legumi. Con il paradosso che molto spesso costano di più gli imballaggi del cibo che contengono. Ad esempio, in una bottiglia di passata di pomodoro da 700 ml in vendita mediamente a 1,3 euro oltre la metà del valore (53%), secondo la Coldiretti, è il margine della distribuzione commerciale con le promozioni, il 18% sono i costi di produzione industriali, il 10% è il costo della bottiglia, l’8% è il valore riconosciuto al pomodoro, il 6% ai trasporti, il 3% al tappo e all’etichetta e il 2% per la pubblicità.

“Serve un deciso intervento per contenere la bolletta energetica nelle campagne e garantire continuità della produzione agricola ed alimentare”, commenta il presidente Coldiretti, Ettore Prandini nel chiedere che il maggior gettito di Iva che arriva dall’aumento dei prezzi al consumo nel carrello della spesa venga destinato dallo Stato al sostegno delle imprese agricole, che rappresentano l’anello più debole della filiera. Ma serve anche - precisa Prandini - percorrere con decisione la strada degli accordi tra agricoltura, industria e distribuzione per garantire una più equa ripartizione del valore per salvare aziende agricole e stalle. ll Pnrr - conclude Prandini - è fondamentale per affrontare le sfide della transizione energetica e digitale e noi siamo pronti per rendere l’agricoltura protagonista utilizzando al meglio gli oltre 6 miliardi di euro a disposizione per superare le fragilità presenti, difendere la sovranità alimentare e ridurre la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento in un momento di grandi tensioni internazionali”.

Un esempio che vale per tutti è quello del latte: come sottolinea la Coldiretti, per poter pagare un caffè al bar gli allevatori italiani devono mungere tre litri di latte pagati solo qualche decina di centesimi alla stalla, ben al di sotto dei costi di produzione in forte aumento per i rincari di mangimi ed energia. Secondo l’indicatore sintetico “Milk Feed”, elaborato dall’Ismea, che confronta il prezzo del latte alla stalla con quello di un pasto tipo per le mucche composto da mais e farina di soia, nell’ultimo anno - spiega Coldiretti - si è scesi sotto la soglia ritenuta “critica”, segnale della sofferenza degli allevamenti. Il costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse - sottolinea Coldiretti - ha raggiunto i 46 centesimi al litro secondo l’ultima indagine Ismea, un costo molto superiore rispetto al prezzo di 38 centesimi riconosciuto a una larga fascia di allevatori. Una crisi che colpisce un sistema che ogni giorno lavora per garantire una produzione nazionale che supera le 12 milioni di tonnellate all’anno, esprime un valore di oltre 16 miliardi di euro, gestisce 1,6 milioni di capi, occupa oltre 100.000 persone secondo l’analisi della Coldiretti. “Non si può aspettare oltre per fermare la speculazione in atto sul prezzo del latte alla stalla”, aggiunge il presidente Coldiretti Ettore Prandini, che sottolinea come “a rischio c’è il futuro di 26.000 allevamenti alle quali va riconosciuto il giusto compenso che tenga conto dei costi di produzione sempre più alti, dalla bolletta energetica ai mangimi”. Il latte agli allevatori - spiega Coldiretti - non deve essere pagato sotto i costi di produzione, considerato che gli aumenti vanno dal +70% per l’energia con picchi del 110% al +40% per i mangimi.

Focus - La lettera di Coldiretti al Presidente del Consiglio Mario Draghi

“La difficile situazione congiunturale determinata dal significativo aumento del costo dell’energia e dal parallelo aumento dei mangimi e dei concimi - si legge nella lettera - sta facendo venir meno una soglia di “soddisfazione” per l’andamento delle imprese che stava risalendo e mettendo radici a partire dagli anni difficili che hanno fatto seguito alla grande crisi, prima finanziaria poi economica, del 2009. Una soglia di soddisfazione che, nel giro di pochi mesi, è crollata dal 38% al 20%. Al di là di questo vissuto, a preoccuparci, tuttavia, sono soprattutto l’oscurità e l’incertezza per il futuro, con oltre 1 impresa su 5 (21%) che si dichiara incerta circa la situazione economica della propria impresa nei prossimi 12 mesi. Coldiretti e i suoi associati nel corso della loro storia, hanno sempre saputo che la “stabilità” costituisce il più prezioso dei terreni per garantire sviluppo e benessere. Il suo Governo - scrive la Coldiretti rivolgendosi direttamente al Premier Mario Draghi - rappresenta in questo momento, l’unica chiave di possibile stabilità per il Paese, anche grazie all’impegno e ai progetti del Pnrr, che offrono prospettive all’Italia. Ci rivolgiamo quindi a lei, nella consapevolezza che lei possa creare le condizioni per uscire da un’impasse, determinata dai rincari energetici e dall’affaticamento dell’apparato burocratico ministeriale. Per dare respiro al mondo agricolo e restituire ad esso traiettorie di speranza e di futuro le risorse ci sono e non sono mai state così elevate. Le chiavi normative per farlo hanno soltanto bisogno di essere adeguatamente efficientate. È urgente che almeno una parte delle risorse del Pnrr già stanziate per l’agricoltura, come gli 1,2 miliardi per i contratti di filiera e 1,5 miliardi per il fotovoltaico senza consumo di suolo, vengano messe a disposizione quanto prima delle nostre imprese con semplici decreti ministeriali. Già così, parte di un’incertezza che sta assumendo caratteri minacciosi, sarà dissolta. Se inoltre sul fronte del credito, grazie alla sua moral suasion nei confronti degli istituti bancari, riuscissimo ad incentivare operazioni di ristrutturazione e rinegoziazione del debito delle imprese agricole attraverso la garanzia del 100% pubblica e gratuita di Ismea, le nostre aziende tornerebbero a respirare. Quanto le chiediamo è quindi semplice: sbloccare in tempi brevissimi un flusso di risorse - inspiegabilmente “fermo” da mesi - capace di accelerare il piano di transizione ecologica e alleviare il peso del debito, senza uccidere la capacità di investimento delle aziende. Si tratta - conclude la lettera a Draghi - di un passo agevole, basta dare immediata e pratica attuazione alla normativa necessaria. Coldiretti continuerà sempre a battersi per dare risposte concrete alle imprese e al Paese”.

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