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TERRA MADRE

I saperi tradizionali per un modello produttivo alimentare solidale e sostenibile: l’agroecologia

Miguel Altieri: agricoltura urbana e civiltà contadina come risposta alla crisi globale e “cura” al Covid-19
L’agroecologia come risposta alla crisi del sistema capitalista

Covid-19 non è l’unica crisi che stiamo vivendo, ma è pur vero che ha contribuito a esacerbare altre crisi che erano e sono ancora in atto, tra cui la crisi ambientale e la crisi sociale. Il Covid-19, da un certo punto di vista, altro non è se non un sintomo del fatto che il sistema alimentare globale e il sistema capitalista, è in crisi, e l’agroecologia si profila come una delle uniche soluzioni percorribili per affrontare questa pandemia dal punto di vista della produzione alimentare. L’agroecologia si alimenta della sapienza contadina e indigena, costituisce un dialogo dei saperi. Se da un lato abbiamo il contributo della scienza occidentale, delle scienze che si apprendono nelle università, dall’altro forse il motore principale della teoria agroecologica risiede proprio nei saperi ancestrali delle comunità contadine, delle comunità indigene che in America Latina hanno interagito con l’ambiente naturale per 5.000 anni, o forse di più. Ecco, in sintesi, il pensiero di Miguel Altieri, padre dell’agroecologia, che insegna all’Università della California ed alla quale ha dedicato più di 200 pubblicazioni e diversi libri, su tutti “Agroecology: The Science of Sustainable Agriculture”, e protagonista del Food Talk “Può l’agroecologia curare la pandemia?” organizzato da terra Madre Salone del gusto by Slow Food.
“Il Covid-19 non è nient’altro che un sintomo del fatto che il sistema alimentare globale ed il sistema capitalista è in crisi. L’agroecologia si inserisce come una delle uniche soluzioni percorribili per affrontare questa pandemia dal punto di vista della produzione alimentare. L’agroecologia - spiega Miguel Altieri - si alimenta del sapere contadino e indigeno, costruisce un dialogo dei saperi. Da un lato abbiamo il contributo della scienza occidentale, quella che si apprende all’Università, l’ecologia, l’agronomia, le scienze sociali. Ma il motore fondamentale della teoria agroecologica risiede nei saperi ancestrali, nelle comunità contadine e indigene che in America Latina hanno interagito con l’ambiente per più di 5.000 anni. Quando si realizza questo dialogo dei saperi emerge una proposta che chiamiamo agroecologia, una scienza trasformatrice, basata sui principi fondamentali di come funziona la natura e si applica a progetti di gestione degli agro-ecosistemi: la diversità, il riutilizzo dei nutrienti, l’arricchimento della materia organica nel suolo, sono tutti principi che riguardano lo sviluppo del di sistemi agricoli che in qualche modo imitano la natura e non dipendono da input esterni. Sono molto più resilienti, non si basano sul petrolio, rispettano la natura e inoltre prendono in considerazione l’eredità della tradizione, delle conoscenze indigene e contadine che sono così ricche in America Latina, in Africa, in Asia e in altre parti del mondo”.
In questo senso, secondo Altieri, “il covid-19 ha evidenziato la fragilità del sistema alimentare globale: nel mondo, in questo momento, ci sono 1,5 miliardi di ettari coltivati, che per l’80% sono monocolture di soia, mais, grano che in un modo o in un altro sono molto suscettibili al cambiamento climatico, alle malattie. Questi sistemi hanno avuto un impatto ecologico enorme, si sono trasformati in forze in grado di mutare la biosfera, a tal punto che oggigiorno da essi dipende l’utilizzo di 2,3 miliardi di chili di pesticidi, che hanno un impatto ecologico capitale, e che hanno un conseguenze anche per la salute umana. In particolare, molti di questi sono immunosoppressori, ma anche perturbatori endocrini. Per questo esistono una serie di malattie associate all’uso di questi pesticidi, e l’uso del glifosato, ad esempio, colpisce il sistema immunitario delle persone, lasciandole molto più suscettibili a malattie come il Covid-19”.
“Io credo che oggi sia necessario un un cambiamento radicale del sistema alimentare, non possiamo continuare a darci sopra una mano di verde, ci vuole una trasformazione radicale. Non riforme, ma trasformazioni fondamentali. Ed è qui che l’agroecologia differisce da altri approcci che disgraziatamente si sono messi al servizio del capitale. Penso all’agricoltura biologica da esportazione, dove i nostri Paesi seguono su un modello di monocoltura basato sulla sostituzione degli input, ma il cui principale obiettivo è l’esportazione per ottenere profitto, e non miglioramento in termini di sicurezza alimentare. Quello che dobbiamo fare, ciò che il Covid-19 ha reso evidente, è che la produzione alimentare - sottolinea Miguel Altieri - deve tornare nelle mani dei contadini, degli indigeni e dell’agricoltura urbana. Gli agricoltori, che occupano solo il 25-30% delle terre coltivate, producono tra il 50 e il 70% degli alimenti che mangiamo nel mondo. L’agricoltura industriale produce solo il 30% degli alimenti, ma consuma l’80% dell’acqua, il 70% dell’energia e del petrolio, producendo il 40% dei gas serra, causa del cambiamento climatico. L’agricoltura contadina raffredda il pianeta, sono i contadini a poter produrre alimenti in forma agroecologica, rispettando la natura e facendo in modo che questi alimenti siano accessibili a tutti, specie ai più poveri e vulnerabili e che più soffrono questa crisi”.
In questa ottica, “l’agroecologia è una strategia fondamentale per trasformare i sistemi alimentari, da un lato promuovendo l’agricoltura urbana perché abbiamo bisogno di sistemi locali di agricoltura, creando, con l’agricoltura periurbana comunità di contadini in prossimità dei centri urbani per generare sistemi alimentari locali, in cui la distanza tra consumo e produzione si riduce. Ciò,rappresenta un a serie di vantaggi, sia dal punto di vista dell’alimentazione che da quello degli sprechi di energia, produzione di gas serra e quant’altro. Nel 2030, l’80% della popolazione mondiale vivrà in una città, e una città per alimentare 10 milioni di persone deve importare 6.000 tonnellate al giorno di cibo, che viaggiano per una media di 1.000 chilometri. È una cosa del tutto insostenibile. L’agricoltura urbana - ricorda il padre dell’agroecologia - ha tutto il potenziale per la produzione di cibo: i cubani, quando è arrivata la crisi, ad esempio, hanno incentivato l’agricoltura urbana con più di 50.000 ettari, con una produzione di 20 chili per metro quadrato, che vuol dire alimentare e produrre il 50% di frutta e verdura nelle principali città del Paese, come Havana e Santa Clara. Da un lato abbiamo il potenziale dell’agricoltura urbana, dall’altro il potenziale dell’agricoltura contadina e indigena che gioca un ruolo fondamentale nella difesa della biodiversità”.
Del resto, sostiene Altieri, “ci sono più di due milioni di varietà coltivate, che sono la base genetica dell’agricoltura del futuro, mentre la rivoluzione verde ne produce solo 7.000. Questa agricoltura va sostenuta e incentivata, come fa ad esempio Terra Madre. Ciò di cui abbiamo bisogno è un bypass al sistema alimentare globale dominato dalle grandi multinazionali, poche imprese che controllano le sementi e i trend della produzione agricola, strangolando il sistema alimentare. Sono queste imprese a determinare cosa devono produrre gli agricoltori, con quali tecnologie, a che prezzo. E sono anche gli stessi che controllano cosa mangia la gente, i consumatori. Per questo abbiamo bisogno di creare territori agroecologici indipendenti dove costruire un’alleanza solidale tra produttore e consumatore, così da creare un’economia solidale, invece che economia capitalista. Ci sono esempi del genere, ad esempio in Brasile, con EcoVida, che generano nuovi spazi di interazione, in cui i consumatori hanno un ruolo importantissimo”.
“Mangiare - conclude il padre dell’agroecologia - è un atto politico ed un atto ecologico. Ogni volta che compriamo da un contadino, stiamo appoggiando una forma di resilienza socio-ecologica, una sostenibilità locale. Quando appoggiamo le grandi catene, le imprese transnazionali, stiamo appoggiando un progetto della morte, il cambiamento climatico, un sistema alimentare in mano alle multinazionali e per le pandemie, perché quella che stiamo vivendo oggi ha a che vedere con l’agricoltura industriale. Le sempre più diffuse monocolture che distruggono la vita dei boschi fanno sì che dall’ambiente selvatico i diversi virus che vengono liberati entrino in contatto con il bestiame e con le persone, ed è così che iniziano a propagarsi le pandemie. Per questo dobbiamo pensare che la salute umana, la salute ecologica, la salute del suolo, la salute dell’agricoltura, sono tutte connesse, ed è questo che fa l’agroecologia: è una scienza olistica sistemica, basata sui saperi tradizionali, in grado si incentivare l’adozione di una nuova proposta di sviluppo locale sostenibile e resiliente per il futuro dell’umanità”.

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