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I Viaggi Di Repubblica

Calici in alto - Colli Bolognesi: Pignoletto, un bianco di carattere ... Autoctono, una parola diventata improvvisamente di moda. Se ne è parlato così tanto a questo Vinitaly che pareva un’invenzione d’oggi. Lasciateci rivendicare il datato merito d’aver sempre combattuto per imporre la scelta sui vitigni tradizionali italiani, contro chi (qualcuno li definisce i Parker del Tufello) si è innamorato dei vini da profumeria. Quelli cosmetici, densi, concentratissimi, con lievi “sentori di parquet” che t’affascinano al primo incontro (e prendono sulle guide giudizi roboanti) ma poi stancano, non sanno accompagnare il cibo, non raccontano i loro territori d’origine. Fortunatamente c’è oggi maggiore attenzione al vero gusto del vino. Ed ecco rispuntare vitigni che sono stati confinati (anche per scarsa qualità di produzione) a delle enclaves localissime. E’ il caso del Pignoletto, bianco autoctono dei colli bolognesi (quella splendida cintura, che va da Castel San Pietro a Monteveglio nei luoghi matildici, punteggiata di panorami eccelsi e di emergenze storico-antropiche di pregio). E’ stato per secoli il “vino di Bologna” frizzantino, acidulo, uno sgrassante naturale per palati unti di bolliti. Oggi il Pignoletto lo si fa con maggior cura, soprattutto nella versione tranquilla. E per rilanciarlo lo si riposa (evviva!) con i tortellini. Ma si rovescia il problema: la bottiglia sale di qualità, il piatto, ahimé, è sceso. Si rimedia però facilmente. Avrete nel bicchiere un bianco citrino, dal sentore di ginestra e mimosa, sostenuto in acidità, di carattere con un netto finale amaro. Da provare.

Le migliori aziende: Floriano Cinti (Sasso Marconi), La Mancina (Monteveglio), Gaggioli (Zola Predosa), Erioli-Malaguti (Bazzano)

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