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I Viaggi Di Repubblica

Vino & Design. Quattordici etichette superpremiate in 170 ettari di vigneti … Devi fare un po’ su e giù per l’Adriatica prima di riuscire a trovarla. Poi, seminascosta tra capannoni industriali e ipermercati, la scorgi alle spalle di un hotel ultramoderno frequentato da chi viene a fare affari nelle Marche. Anzi, nel Marcheshire, l’ultima moda secondo il Wall Street Journal e il New York Times. La cantina Umani Ronchi, oggi della famiglia Bianchi Bernetti - Stefano, Massimo e il figlio di quest’ultimo, Michele - con i suoi vini ultrapremiati e la nuova bottaia finita sulle pagine di AD, la rivista di architettura e design, è uno dei simboli di questa terra scoperta dagli stranieri che hanno dato il via all’era del Verdicchio e del Rosso Conero.
L’ingresso nella nuova bottia, inaugurata nel 2000, è incastonato sotto la collina dei vigneti. La parete esterna è ricoperta di kurten, un metallo che sembra ferro arrugginito. Protegge dal sole, ma è anche la cifra del suo stile. Questo angolo di Marche non ha una storia di cantine, come la toscana e il Piemonte, allora perché non ispirarsi ai capannoni industriali? E’ stata l’idea dell’architetto Marco Pignoni di Osimo, anche lui una doc del territorio.
Pareti e pilastri d’acciaio inclinati per sostenere la collina sovrastante, con soffitti in pendenza: archeologia industriale che gioca di contrasto con le barrique di legno. Niente mezzi artificiali per proteggere il vino. Mattoni e ghiaia creano una camera di compensazione naturale dell’umidità e una serie di canali fa circolare l’aria. Nei 170 ettari di vigenti della Umani Ronchi si producono tra autoctoni e fuoriclasse 14 etichette, molte superpremiate fino a Wine Spectator e Wine Decanter, bibbie internazionali del settore.
Una per tutte: il Pelago annata 1994, vincitore del prestigioso International Wine Challenge a Londra nel ’97.

La parola al viticultore

”E’ il Maximo con il pecorino”…
Avevamo un vigneto di sauvignon che non dava risultati importanti per un vino secco tradizionale. Così, considerata anche la posizione, a nord, all’ombra , con un po’ di umidità, abbiamo pensato di fare un “botritizzato”, vino dolce da uve colpite da muffa nobile, in questa zona dove sono diffusi i parassiti, Siamo partiti nel 1989 e nel 1992, dopo vari tentativi abbiamo messo sul mercato la prima produzione, 2.000 mezze bottiglie, un formato più adatto ad un vino dolce, e poi perché la produzione è limitata. Maximo in onore di papà, ma anche perché era il massimo che potevamo ottenere, ma con quella X di incognita. Un vino da dessert che si abbina bene con il perorino di montagna delle Marche, ma anche con lonzino di fico, un dolce di queste parti, con fichi secchi, mandorle e “sapa”, una specie di mosto concentrato.
Autore: Paola Iadeluca

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