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I Viaggi Di Repubblica

L’antico borgo del vino… La Fattoria dei Barbi dal 1790 tra tradizione e innovazione. “Gli altri vendevano le proprietà per comprare mobili, nonno Giovanni vendeva quadri per investire sulla terra. Così quando c’è stato bisogno di un tavolo per l’imbottigliamento ha preso quello del biliardo e l’ha portato giù in cantina. L’ha sempre lasciato qui, a mò di monito”. Stefano Cinelli Colombini, discendente dell’antica famiglia senese, tra quelle che hanno fatto conoscere il Brunello di Montalcino nel mondo, è da oltre vent’anni alla guida della Fattoria dei Barbi, una delle tenute storiche, comprate nel 1790 dai Colombini, che già avevano proprietà in Montalcino nel 1352. Un manager a tutto tondo che segue l’intera filiera, dalla produzione al marketing, alla commercializzazione, fino all’innovazione tecnologica. I risultati parlano da soli. La superficie vitata è cresciuta di 22 ettari, anche con l’acquisizione di una tenuta a Scansano, ma ridotta drasticamente la resa, fino a una bottiglia e mezza per ettaro. La produzione è passata da 220.000 bottiglie alle 800.000 attuali e il fatturato tocca i dieci milioni e mezzo di euro, in gran parte realizzati all’estero, tra Usa, Regno Unito e Canada. L’antico borgo è un’azienda modello, che rispetta la tradizione ma guarda avanti all’innovazione. Da sempre. Risale agli anni 60 l’inaugurazione della Taverna dei Barbi, un ristorante vicino alla cantina per far salire le vendite e consolidare l’immagine del marchio. Ma già nel 1840 un Brunello dei Barbi aveva già vinto un diploma in una esposizione di bordeaux, e sì che far breccia nel nazionalismo viticolo francese non è mai stata impresa facile. Vino, trattoria, punto vendita ma anche salumi, formaggi, olio. La strategia gestionale è delineata su uno dei muri della storica cantina tra botti, barrique e una collezione di Brunello e Vinsanto che risalgono fino al 1870.


La parola al viticoltore - Più autentici e più strutturati

Oggi la gente vuole tornare a vini più autentici, unici. E la tipicità è un fattore chiave competitivo del vino italiano, in particolare del Sangiovese grosso. Con la sua buccia dura, cede con diffiuciltà il suo ricco contentuo e ha dato le sue più grandi espressioni – gli anni 1932, 1957, 1964, 1975 – quando la raccolta era molto tardiva, con uve e cantine molto fredde e bucce ammorbidite dalle gelate mattutine. Oggi le temperature estive si sono alzate e si vendemmia prima, con uve sopra i 25 gradi. Abbiamo così deciso di usare il ghiaccio secco per freddare le uve e riprodurre quei fattori di macerazione che ci offriva la natura. Il risultato: vini più strutturati e con intensità maggiore di colore, che dopo l’affinamento in legno si presentano morbidi e rotondi pur mantenendo un estrema tipicità. La nostra risposta ai Super Tuscan”.

Stefano Cinelli Colombini (arretrato del 23 febbraio 2006)


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