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CRITICITÀ

Il 26 aprile Italia in giallo, ma coprifuoco e limitazioni frenano la ripartenza dei ristoranti

Il 30% degli italiani non vede l’ora di tornare a mangiare fuori, ma 1 locale su 2 non ha spazi esterni e rincasare alle ore 22 penalizza le campagne
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Il 26 aprile la ripartenza - critica - della ristorazione

Lunedì 26 aprile l’Italia si ritroverà, quasi per intero, in zona gialla. Condizione necessaria a permettere la riapertura, dopo oltre due mesi, di bar e ristoranti. Ma solo ed esclusivamente all’esterno. E solo fino alle ore 22, perché a nulla sono servite le barricata di Regioni, Forza Italia e Lega: il coprifuoco alle ore 22 rimarrà in vigore fino al 31 maggio. A meno di eventuali ripensamenti, ovviamente sostenuti da un calo considerevole del numero dei contagi e dei ricoverati. Insomma, bene, ma non benissimo, specie perché si parla di un settore che ha bruciato, sin qui, 34 miliardi di euro su 86 di giro d’affari, senza che i ristori (quando arrivano) siano minimamente sufficienti a sostenere imprese spesso in seria difficoltà. Di certo, nonostante la campagna vaccinale in corso d’opera, peggio di un anno fa, come ha sottolineato Lino Stoppani, presidente Fipe-Confcommercio. “I provvedimenti sono più punitivi su quelli adottati nei momenti più critici dal punto di vista sanitario. Un anno fa, con 26.000 contagi ed una campagna vaccinale che non esisteva, e quando si era in zona gialla, c’era la possibilità di lavorare all’interno. Oggi con la metà dei contagi ed una campagna vaccinale che sta correndo, sono impedite le attività all’interno escludendo così 116.000 attività, che sono il 46,6 % del complesso dei pubblici esercizi cui viene impedito il loro diritto al lavoro”.
Insomma, come già emerso ieri, al Governo Fipe/Confcommercio imputa una certa mancanza di coraggio, perché “i protocolli di sicurezza che consentono di far lavorare anche i locali che non hanno la possibilità di allestire spazi all’aperto ci sono ed è doveroso metterli in atto. Non si può discriminare ulteriormente metà dei bar e dei ristoranti del Paese, imponendo regole diverse per imprese dello stesso settore. Certo, anche posticipare il coprifuoco di un’ora, consentendo ai locali di fare il doppio turno la sera è importante, non tanto per ragioni di cassa ma per favorire attraverso l’allungamento dell’orario una distribuzione più ordinata e sicura dei clienti”. Fondamentale, in sostanza, “è rimettere in moto anche gli esercizi senza dehor, così come il mondo del banqueting bloccato da 14 mesi. L’avanzare della campagna vaccinale e della bella stagione devono essere la spinta per andare in questa direzione. Senza questi interventi l’apertura del 26 aprile rischia di trasformarsi in una falsa partenza che aumenta diseguaglianze e rabbia”, conclude la Fipe/Confcommercio.
Comunque sia, gli italiani hanno una gran voglia di tornare a mangiare fuori, tanto che il 30% la considera una vera e propria priorità, contro l’8% di chi non vede l’ora di andare ad un concerto o ad uno spettacolo teatrale, mentre il 6% ha come obiettivo quello di tornare in palestra, come rivela un sondaggio Coldiretti in vista appunto delle riaperture del 26 aprile. Che, così come stanno le cose, svantaggia le attività dei centri urbani, mentre nelle campagne ci si sta organizzando per offrire agli ospiti la possibilità di cenare sotto gli uliveti e in mezzo alle vigne, oppure negli orti, dei 24.000 agriturismi italiani. Che, come sottolinea la Cia/Agricoltori Italiani, hanno già perso dall’inizio della pandemia 1,2 miliardi di euro.Ad accomunare campagna e città, invece, è il coprifuoco, ancora fino alle ore 22, che limita tantissimo l’orario della cena, specie per chi fa ristorazione in campagna, dove comunque c’è da considerare il tempo di spostarsi e di rincasare. Una limitazione non di poco conto, anzi, quella confermata dal Governo. Che, insieme all’impossibilità di riaprire per quasi la metà delle attività di ristorazione, restituisce una ripartenza a due velocità ed a macchia di leopardo. Che, inevitabilmente, spingerà tanti ristoratori ad aspettare ancora, perché lavorare solo con i tavoli all’aperto, e praticamente solo a pranzo viste le temperature del periodo, rischia di rivelarsi un boomerang dal punto di vista della sostenibilità economica.

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