
Il vino accompagna l’uomo da millenni. E nel corso della storia ha visto cambiare tantissime cose. Compreso l’approccio generazionale al suo consumo. E se da sempre il “nettare di Bacco” è considerato la bevanda ideale per le persone più mature, non sembra poi così vero che ai giovani di oggi non interessi affatto, che lo considerino una “bevanda per vecchi”, e che spendano poco, in vino, perché hanno pochi soldi in tasca. Con il calo dei consumi che, ad una più attenta analisi, non è da attribuire ai più giovani, o non solo, insomma, alla Generazione Z, quella dei giovanissimi, o ai Millennial, già un po’ più maturi, ma anche ad una frenata da parte delle generazioni che lo hanno fatto crescere in tempi recenti, il consumo di vino, a partire dai Boomer.
Anzi, secondo l’Osservatorio del Vino Uiv-Vinitaly sui dati Iwsr sulle abitudini di consumo in Italia e Stati Uniti (mercati strategici per il vino italiano, pari ad oltre il 60% del fatturato dell’industria nazionale), presentati, oggi a Roma, nel lancio di Vinitaly 2025 (6-9 aprile, a Veronafiere) le differenze tra under e over 44 sono sottilissime, addirittura a volte i giovani sono (sorprendentemente) più avanti dei maturi: open-minded, smart, difficilmente si trovano indizi evidenti del loro passaggio. Però, lasciano il segno. Innanzitutto, va sfatato il mito che il vino faccia meno presa sui giovani consumatori: un luogo comune, considerato che in Usa a fronte di 1/3 di giovani sul totale della popolazione over 21 (età legale per bere negli States, ndr), i consumatori di vino under 44 pesano per il 47% del totale. In Italia, vi è perfetta aderenza tra popolazione e consumatori di vino (35% giovani, 65% maturi), segnale che indica come il vino sotto i 44 anni sia una bevanda perfettamente in linea con l’evoluzione delle generazioni. Nel nostro Paese, l’indice di penetrazione dei vini fermi è al 54% tra i più giovani (contro il 59% dei maturi), negli Stati Uniti il rapporto è 56-58%.
E se il segno sui consumi a livello globale, dall’Italia agli Usa, dal Regno Unito alla Germania, passando per il Giappone e la Cina, è evidentemente negativo, le responsabilità sono da attribuirsi almeno in parti uguali tra le generazioni. Anzi, su alcune tipologie di vino - come i rossi, quelli che più soffrono di crisi dei consumi - sono le generazioni più mature ad aver mollato il colpo. Perché il rosso, certi tipi di rosso (basso valore aggiunto per esempio), sono quelli che hanno marchiato la generazione Boomer, e sono i Boomer ad “aver tradito”, secondo l’osservatorio Uiv-Vinitaly: in Italia e in Usa chi ha diminuito i consumi è per il 30% over 44, mentre chi dichiara di averli aumentati è prevalentemente giovane: 31% in Usa (contro il 9% dei maturi), 14% in Italia (contro il 7% dei maturi). Si sente dire spesso che ai più giovani difettino frequenza e intensità: anche questo, dati alla mano, risulta poco vero. Intanto, i consumi sporadici (meno di 2-3 volte al mese) sono perfettamente ripartiti tra giovani e maturi in Usa (75% e 79% su una media generale del 78%), mentre nel nostro Paese i giovani sono al 90%, contro l’81% dei più anziani, su una media generale fissata all’80%. In fatto di intensità (ovvero quantità consumate), i giovani americani che vanno oltre i due bicchieri sono l’80%, contro il 72% degli over 44. Anche in Italia la prevalenza - seppure meno schiacciante - è per gli under 44, al 70% contro il 68% dei maturi. Se la frequenza è bene o male la stessa e le quantità sono anche maggiori per i giovani, questo fornisce un ulteriore indizio al fatto che - essendo prevalenti i più anziani nella platea dei consumatori, almeno in Italia - il dato di flessione dei consumi è ascrivibile proprio a questi ultimi. Che poi, rispetto ai più giovami, sono pure quelli che spendono in media di meno: in Italia, i vini a più alto valore aggiunto (fasce ultra premium e oltre) sono appena il 10% del totale consumi a valore, ma la platea di chi li acquista è costituita per la metà da under 44. In Usa, su un dato consumo ultra premium del 31% a valore, i giovani pesano addirittura per il 60%.
Colpa del costo della vita più altro? Non proprio. Secondo Uiv-Vinitaly, chi dichiara di aver speso di più per colpa dell’inflazione galoppante sono i più anziani, mentre 2/3 dei giovani statunitensi e il 41% degli italiani dichiarano di aver fatto upgrade volontario su vini più costosi (contro rispettivamente il 48% americano e il 28% italiano). Altro marchio distintivo delle giovani generazioni è l’infedeltà: si sperimenta molto di più, si cambiano vini e brand in continuazione, sia in Usa (metà dei giovani contro 33% dei maturi), sia in Italia (47% contro 35%). Spesso e volentieri per il gusto di cambiare, perché il vino è fashion (56% dei Gen Z italiani, primo fattore di scelta del vino, contro il 28% dei Boomers), ma anche perché il vino esalta i cibi: una prerogativa non solo dei consumatori maturi (sopra il 60% di risposte in Usa e Italia), ma anche dei più giovani, con quote di risposte positive sopra al 40%. Quindi, a dispetto di quel che credevamo di sapere, i giovani sono grandi amanti del vino: usano lo spumante per i cocktail, certo (anche se in Italia la quota è al 14%, poco sopra i maturi, contro il 28% degli under 44 americani), quando vanno fuori con gli amici, bevono spesso e volentieri il vino (70% dei giovani americani dichiara di aver aumentato proporzionalmente occasioni di socializzazione e consumi di vino fermo).
E il lifestyle (salutismo, diete, convinzioni varie) non è un ostacolo ai consumi, per lo meno non più di quanto lo sia per i maturi: in Italia queste considerazioni influiscono infatti sul consumo di 1/4 dei giovani e di 1/5 degli over 44, mentre in Usa interessano il 31% dei giovani e il 30% degli over 44. A proposito di lifestyle, è vero che i “dry periods” - periodi più o meno lunghi di astinenza dal bere - sono una prerogativa più dei giovani che non dei maturi, ma in questo caso le differenze tra Italia e Stati Uniti sono marcate: i Millennial di casa nostra, per esempio, mostrano intenzioni verso l’astinenza “a tempo” in linea con le generazioni più adulte (sopra il 25%), mentre in Usa siamo alla metà del campione, a fronte di intenzioni “dry” sui più anziani del 23%. Anche per i Gen Z gli italiani hanno un indice di astinenza più alto rispetto alle generazioni più mature, ma di 14 punti più basso rispetto ai coetanei statunitensi (46% contro 60%).
Altra evidenza, che emerge dalla lettura dei dati relativi ai giovani, è la stanchezza dei consumi di vino a livello di generazioni mature, soprattutto in Italia. Frequenze che tendono a rarefarsi, come per i giovani, ma accompagnate da minori quantità consumate, tendenza maggiore alla riduzione (61% del cluster), dettata non solo da ragioni salutistiche o legate in generale all’alcol, ma anche di costo (1/4 degli over 44 del nostro Paese), e più alta incidenza degli astemi totali: se i consumatori di alcolici sono per 2/3 maturi, l’incidenza di questi sul totale non-bevitori sale al 78%.
In conclusione, spiega la ricerca, l’industria vitivinicola, e quella italiana in particolare, ha finora fatto fatica a prendere le misure alle generazioni più giovani, per motivi legati alla difficoltà di rendere coerenti gli eterogenei elementi che le spingono ad approcciarsi all’alcol in generale e al vino in particolare. Dall’altra parte, però, pur in mancanza di un quadro certo, del lavoro si è indubbiamente fatto, visto che le giovani generazioni stanno dimostrando di essere parte proattiva dei consumi, compensando in parte le erosioni volumiche (ma soprattutto valoriali) di alcune tipologie di vino, che altrimenti sarebbero catastrofiche. I Millennial e soprattutto i Gen Z sono consumatori che hanno più di un decennio davanti a sé, e già scalpita la nuovissima generazione degli Alpha. I segnali (deboli, ma fino a un certo punto) inviati al settore sono molteplici, solo che a differenza dei genitori e dei nonni, vanno in svariate direzioni, a volte risultando contraddittori. Questo patrimonio, evidenziato dai numeri di questo rapporto, è un punto di partenza importante per intanto sgomberare il campo dai luoghi comuni, ma soprattutto per imbastire con gli “adulti di domani” una relazione duratura e profittevole. “Di sicuro, negli anni a venire, il settore vitivinicolo andrà incontro a riduzioni (e conseguenti ristrutturazioni) delle produzioni, il che implica un’opera di reindirizzamento costante, a livello produttivo, stilistico, di comunicazione. Saranno anni sfidanti, sicuramente, che metteranno a dura prova le imprese, chiamate a fare quel salto che in anni passati ha riguardato meramente la qualità del vino, ma che ora deve necessariamente ricomprendere una sfera più olistica del fare azienda”, conclude l’Osservatorio del Vino Uiv-Vinitaly.
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