Il cibo e il conflitto, apparentemente distanti, sono oggi più che mai strettamente intrecciati. I conflitti armati non si combattono solo con le armi: si combattono anche con il controllo delle risorse, dell’acqua, del grano. Pensiamo al caso dell’Ucraina. La guerra ha bloccato o rallentato l’export di cereali, facendo salire i prezzi sui mercati internazionali e mettendo in crisi interi sistemi alimentari in Africa e Medio Oriente. Paesi come la Somalia, il Sudan o il Libano dipendono in larga parte dal grano ucraino o russo: quando quel grano non arriva, la carestia si avvicina, e con essa nuove tensioni, nuove guerre. Il cibo non è mai neutro: può essere causa di conflitto, ma anche chiave di riconciliazione. È da questa consapevolezza che nasce un terreno fertile per l’incontro tra due realtà apparentemente diverse, ma potenzialmente complementari: Associazione Rondine Cittadella della Pace, l’organizzazione italiana fondata da Franco Vaccari, che da oltre 20 anni lavora per la trasformazione creativa dei conflitti, nella sua Cittadella della Pace, vicino ad Arezzo, dove accoglie giovani provenienti da Paesi in guerra - ucraini e russi, israeliani e palestinesi, armeni e azerbaigiani - e li fa vivere insieme, studiare insieme, conoscersi, così che il “nemico” diventa volto, storia, essere umano, e il conflitto non viene rimosso, ma attraversato, dunque trasformato, e Slow Food.
Slow Food - in Assemblea Nazionale nei giorni scorsi alla Fao a Roma, dove il cibo ed i conflitti sono stati un tema di dibattito, con 1 minuto di silenzio per i morti in tutte le 51 guerre in atto nel mondo, e in particolare per i civili della Palestina (come racconta questo contributo, della delegata Maria Ricci, che vi riproponiamo, ndr) - ci insegna che il cibo è cultura, identità, biodiversità. Che nutrirsi non è solo sopravvivere, ma scegliere un modo di stare al mondo. Un modo rispettoso delle persone, dei territori, delle comunità.
Ecco perché dall’incontro tra la Chioccola e Rondine, i giovani dell’Associazione, oltre a convivere, possono coltivare insieme un orto, raccontarsi attraverso le loro ricette, riscoprire semi antichi delle rispettive terre, che poi cucinano insieme, mangiano insieme, e mentre lo fanno, imparano a fidarsi. Ma possono partecipare anche a percorsi educativi congiunti, dove si intrecciano la cura della terra e la cura della relazione, ed a progetti di agricoltura comunitaria nei territori post-conflitto. Per scrivere racconti di pace, attorno a una tavola, e dare speranza a piccole comunità dove il gusto diventa veicolo di riconciliazione. Perché in un mondo in cui la guerra semina fame e disumanità, il gesto semplice del cucinare insieme può diventare rivoluzionario, e può insegnarci che, anche nei conflitti più duri, esiste un terreno comune: quello del bisogno, dell’identità, della memoria, del pane.
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025