Ha fatto molto discutere, non solo nel mondo del vino, l’ultimo studio dell’Università di Washington pubblicato dall’autorevole magazine scientifico Usa “Lancet”, secondo cui, quando si parla di alcolici, non esiste una quantità “sicura”: l’alcol fa male, che si tratti di un bicchiere di vino o di una lattina di birra poco cambia, l’unico modo per non correre rischi, è non bere. Una conclusione definitiva, non condivisa dall’intera comunità scientifica, e tra chi ci va con i piedi di piombo c’è anche il professore Andrea Sbarbati, direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona, che a WineNews racconta come “spesso i messaggi che arrivano dagli studi scientifici tendono ad essere, in chiave giornalistica, resi assoluti o stravolti: è chiaro che per qualsiasi sostanza esistono dei limiti, per cui il vino non vedo perché debba fare eccezione. Persino per sostanze più pericolose esistono dei limiti entro cui sono considerate tollerabili. Penso che quando si parla di alimenti non si possa usare lo stesso parametro utilizzato per una sostanza chimica, bisogna lavorare anche in termini statistici, valutando ad esempio se le popolazioni che fanno uso di vino piuttosto che di altri tipi di bevanda hanno una qualità della vita significativamente diversa o meno. Bisogna valutare l’impatto generale di un prodotto - continua Sbarbati - su una popolazione, e non estrapolare soltanto il dato relativo ad un alimento come se fosse una qualsiasi sostanza chimica”.
Del resto, l’argomento è tutt’altro che semplice e “per un medico parlare di vino è sempre una sfida - riprende il professore dell’Università di Verona - non è trascurabile il grosso numero di problemi sanitari che nascono dagli eccessi, ma detto questo sappiamo anche che gli alimenti hanno un valore funzionale che va oltre la capacità di nutrire e fornire calorie, svolgendo delle funzioni sia metaboliche che psichiche. Il vino deve essere considerato un alimento funzionale che assunto in certe condizioni può interagire con il nostro organismo in modi complessi che, forse, dovremmo studiare in maniera più approfondita”. In questo senso, assaggiare o bere un bicchiere di vino è un’operazione assai più complessa di quanto possa sembrare. “Quando mettiamo il vino in bocca - spiega Sbarbati - operiamo con una serie di sistemi ricettoriali, che vanno dai ricettori gustativi a quelli trigeminali a quelli olfattivi, che ci servono sostanzialmente per decidere se deglutire o no, ma esistono tanti altri ricettori, ed il vino, specie se con una componente amara, ne stimola moltissimi, che sono presenti nell’intestino. Noi continuiamo ad assaggiare il vino, in questo senso, anche con il nostro apparato digerente - conclude il direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona - e persino con il nostro apparato respiratorio, quindi la fase di sensazione più profonda che abbiamo con il vino avviene sicuramente dopo averlo ingerito”.
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