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Il Giornale

Oseleta, Longanesi e Titilla tredici vitigni su cui puntare: arriva la moda dei vini autoctoni, sono mille ma settecento sono solo reliquie … Il professor Attilio Scienza, massimo esperto italiano in materia, con poche cifre ha fotografato una realtà pesante per il patrimonio italiano: “Quindici anni fa il 45% dei vigneti erano coltivati con varietà nazionali e il 41 con varietà regionali. Dieci anni fa eravamo, rispettivamente, a un 36 e 49. Questo vuole dire che tre a due lustri fa, i vitigni internazionali avevano una quota pari ad appena il 14 e 15%. Poi il patatrac: cinque anni fa erano il 38% e ora il 43, terra strappata alle uve locali, scese al 21% e poi al 19. I vitigni nazionali in fondo tengono, perché dal 41% sono scesi solo al 38”. Al professor Scienza il compito di indicare su quali vigneti si può scommettere. Ne ha scelti tredici nella speranza che il numero porti fortuna “perché quando si perde un vitigno si perde un pezzo di storia perché biodiversità non vuol dire solo profumi e sapori diversi ma anche cultura, tradizioni, sistemi produttivi” … Da Nord verso Sud: “Partiamo con un bianco del Tortonese, il Timorasso: ha la stoffa dei grandi francesi. In Lombardia indico invece la Mortadella, un rosso-sorpresa. In Veneto l’Oseleta, il suo recupero data anni Settanta, entra nella composizione dell’Amarone ma oggi ha vita sua in purezza. Nel vicino Friuli nessun dubbio, il Pignolo che nella forma ricorda una pigna, un rosso da lungo invecchiamento. In Romagna invece l’Uva Longanesi venne scoperta dal signor Aldo Longanesi negli anni Venti, era abbarbicata a una quercia nel comune di Bagnacavallo, serviva come richiamo per gli uccelli ma ha un alto valore qualitativo. In Toscana il Pugnitello completa il Montepulciano ma battaglia alla grande anche in purezza, merita attenzione. Di nuovo un bianco andando in Umbria, il Grechetti a cui auguro un successo pari a quello che ha sorriso al Sagrantino. Chi passa per il Molise farà bene a prestare attenzione alla Titilla, tra l’altro è un rosso dal nome simpatico. Un’altra tappa in Puglia dove bisogna coccolare il Negro Amaro Precoce che non va confuso con il Negro Amaro, cosa scoperta solo nel 1994. Quindi la Calabria dove il Magliocco canino sopravvive e mi auguro prosperi, un tempo lo si aveva anche nelle Marche e in parte della Sicilia. La Campania si fa largo con il Casavecchia, la Sicilia con il Frappato e la Sardegna con il Bovaleddu, sono tre uve nere. Il lavoro che abbiamo davanti è immane, ad esempio, chi è arrivato prima in Sardegna: il Bovale o il Bovale Grande?”. Già…

Milano capitale del mondo autoctono

Non solo parole: anche se quasi metà della produzione italiana è dominata dai vitigni internazionali, cresce l’attenzione verso i vitigni autoctoni regionali che non sempre offrono una qualità elevata e costante ma che di certo dispensano profumi diversi da quelli a cui ci hanno abituato Chardonnay e Merlot. Il problema di chi vuole bere diverso è l’approvvigionamento. A Milano, in Via Padova 95, ecco Autoctono, www.autoctono.it, società che distribuisce dai grandi Sangiovesi e Barbere a reliquie in via di estinzione. Seguendo le indicazioni del professor Scienza, chi volesse scoprire il toscano Pugnitello deve puntare sull’azienda San Felice a Castelnuovo Berardenga (Siena), 0577359087, per il piemontese Timorasso invece il produttore di riferimento è il Walter Massa a Monleale, 0131.80302. Dal Nord-Ovest al Nord-Est: l’Oseleta deve la sua scoperta come vino in purezza alla Masi di Gargagnano (Verona), 045.6832511, vedi il suo Osar, mentre il Pignolo è una bandiera issata da più cantine in Friuli, merita attenzione a Cividale (Udine) Paolo Nitti della Cantina Tavagnacco, 0432.701652, www.cantinatavagnacco.it, un modo diverso di pensare e fare vino. In Campania l’azienda biologia Castello Ducale di Castel Campagnano (Caserta), 0924. 972460, ha legato le sue fortune (anche) al Pallagrello del Ventaglio così come alla Falanghina. Giocava in casa a Conegliano la cantina Bonotto delle Tezze di Tezze di Piave, 0438.488323: durante il convegno sui vitigni autoctoni italiani i suo titolare ha difeso la causa del Raboso del Piave, una delle certezze dell’Italia del vino di una volta, messa in crisi dal boom dei vitigni internazionali.

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